La seconda vita dei padiglioni dopo Expo? Rebus: «Bisogna pensarci prima»

Nüssli ne ha costruiti 9, ma nessuno ha deciso cosa farne dopo l'evento di Milano. E senza un progetto prima, ricostruirli costa troppo

Code fuori dal padiglione del Messico

Code fuori dal padiglione del Messico

Milano, 19 agosto 2015 - Gli Emirati Arabi vogliono ricostruire il loro padiglione di Expo nella città avveniristica di Masdar, il Barhain lo trasformerà in un orto botanico, Livigno si candida per accogliere quello del Nepal, il Kuwait è pronto a fare a metà con l’Italia. Mancano due mesi e mezzo alla chiusura dell’Esposizione universale di Milano e gli organizzatori devono mettere un punto fermo sul destino dei padiglioni dal primo novembre. Non solo fare la conta tra chi li porta via e chi li lascerebbe nel parco di Rho, ma anche studiare come smantellarli e, soprattutto, come rimontarli. Una seconda vita delle architetture Milano 2015 è tutt’altro che scontata, se i Paesi non hanno già pensato a come riutilizzarli quando li hanno progettati. «La cosa peggiore dal punto di vista economico è pensare di smontare un oggetto simile e portarlo altrove», avverte Emanuele Rossetti, direttore generale di Nüssli Italia, articolazione locale del colosso svizzero specializzato in allestimenti fieristici. Si tratta della società che ha firmato il maggior numero di padiglioni all’Expo di Milano e tra i più visitati: Stati Uniti, Kuwait, Germania, Messico, Spagna, Svizzera (solo la costruzione), gli allestimenti di Vanke, il padiglione del Vino e le piazze esterne più le stampanti verticali del supermercato del futuro di Coop.

Anche per i clienti di Nüssli stringe il tempo per decidere cosa fare del proprio padiglione a Esposizione chiusa. «In questo momento stiamo parlando con Usa, Messico e Kuwait – spiega Rossetti –. I contratti iniziali non prevedevano nulla per il dopo, nonostante noi avessimo insistito allora». Il dossier che pesa riguarda le strutture. «L’investimento per smontarle è grosso – avverte il manager –, ha senso se servono». Per questo i tecnici svizzeri premono per progetti a lungo termine. Vanno ammornizzate le norme edilizie, ad esempio, su presidi antincendio, carichi, resistenza al vento e tenuta antisismica. Tutt’altra questione sono gli allestimenti interni. «In questo caso non c’è nessuna contrindicazione – osserva il direttore generale –. Il museo di Vanke, ad esempio, tornerà in Cina e l’interno multimediale del Kuwait in madrepatria». Complici le nebbie che aleggiano sul futuro dei terreni di Expo, procede a passo di lumaca anche il riutilizzo dei padiglioni.

I tempi, tuttavia, sono stretti: entro la fine di giugno 2016 l’area di Rho-Pero deve essere sgomberata. E di mezzo c’è l’inverno: i palazzi non sono stati pensati per affrontarlo, tanto che, come ricorda Cgil Milano, non sono dotati di impianti di riscaldamento. Di fatto, la strada più facile è lo smantellamento e il riciclo del materiale edile, che si può recuperare al 100%, dal ferro al vetro. Mentre a Milano si progetta il cantiere di demolizione, Astana e Dubai, che ospiteranno rispettivamente le Expo del 2017 e del 2020, commissionano le costruzioni. Nüssli è di nuovo in prima fila, con il catalogo di Milano 2015. «È un grande lavoro di marketing – spiega Rossetti –. Usiamo un grande evento per il successivo».

luca.zorloni@ilgiorno.net

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