Victor de Sabata, il “fanatico della musica” amato da Ravel e Callas

La figlia ricorda il grande direttore d'orchestra a 50 anni dalla scomparsa

Victor de Sabata, scomparso nel 1967

Victor de Sabata, scomparso nel 1967

Milano, 31 agosto 2017 - «Ho un direttore italiano straordinario, che mi ha regalato una delle piú grandi gioie della mia carriera». Era il marzo del 1925 e il compositore Maurice Ravel scrisse di suo pugno una lettera di riconoscenza e ringraziamento al maestro Victor de Sabata, al quale aveva affidato il battesimo del suo atto unico “L’enfant et les sortilèges”. Un documento “prezioso”, una testimonianza dell’eredità che ha lasciato uno dei piú grandi direttori d’orchestra del Novecento.

Sbocciato già negli anni di studio al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano per la sua incredibile memoria, l’orecchio assoluto, la spiccata musicalità e la personalità trascinante. Doti che, dopo aver diretto l’orchestra dell’Opera di Montecarlo, lo portarono a imprimere un’impronta “storica” all’attività del Teatro alla Scala di Milano. Fu lui ad anticipato l’inaugurazione della stagione al 7 dicembre: «Prima era il 26, a cavallo con le feste di Natale ed era un grande turbamento generale per tutti i professionisti coinvolti - racconta la figlia Eliana -. La prima fu nel 1951 con Maria Callas che cantava i Vespri Siciliani. Una professionista che esigeva il dovuto rispetto, una voce espressiva, un’artista dotata di rara sicurezza musicale». Proprio alla Divina è dedicata la mostra “Maria Callas in scena – Gli anni della Scala” che sarà inaugurata giovedì 14 settembre alle 20.30, cui parteciperà la stessa Eliana. Ricordi di una vista vissuta sotto l’ala di un padre che era prima di tutto un artista «esigente, inflessibile ma anche dolcissimo. Parlava con gli occhi, cambiavano colore a seconda del suo stato d’animo. Azzurro intenso quando era allegro, ma quando diventavano d’acciaio era pericoloso. Non alzava la voce, in famiglia come nel lavoro. Incuteva rispetto, anche timore forse». Un professionista con «una personalità fuori dal comune. La sua grandezza è stata il fanatismo, in senso positivo, verso la musica. Cosa che oggi si va perdendo perché si vuole arrivare troppo presto senza il senso di responsabilitá nell’impugnare una bacchetta», lo ricorda il maestro Aldo Ceccato. Che poi è anche il marito della figlia, conosciuta quando a Roma si trovò a dirigere un poema sinfonico di de Sabata all’Accademia di Santa Cecilia. «Con mio padre fu subito intesa perché era arrivato in famiglia un musicista vero, visto che a me e mio fratello aveva chiarito di non volere “figli dilettantacci”».

Lui che entrò la prima volta alla Scala nel 1916 come compositore e l’ultima nel 1967, per ricevere dalla “sua” orchestra l’estremo addio. Esattamente 50 anni fa. E nella ricorrenza della sua scomparsa, venerdì nella cornice di Villa Durazzo (ore 17) l’associazione “Spazio Aperto” di Santa Margherita Ligure (Genova) ha deciso di ricordarlo con la figlia e il genero, con Cristiano Ostinelli che parlerà del rapporto con l’editore Ricordi, che ha pubblicato tutte le composizioni di de Sabata, e Costanza Principe al pianoforte. In Liguria, a Santa Margherita Ligure, scelta dal maestro de Sabata come luogo del proprio esilio in compagnia del pianoforte a coda, tra partiture, spartiti, libri, giornali, abbozzi di musica. E di una Mercedes che si era fatto costruire apposta con la guida a destra perché cosí poteva rasentare meglio le rocce a strapiombo sul mare. Per oltre dieci anni visse una vita riservata, lui che «non amava la stampa invadente» e che dopo la seconda crisi cardiaca camminava 5 chilometri ogni giorno come gli avevano consigliato i medici perché «voleva tornare sul podio dopo il trapianto di cuore». Era «un atleta del podio nonostante la poliomelite lo costringesse a usare una scarpa più alta dell’altra e a entrare e uscire dal palco correndo perché la cosa non si notasse». Quando lesse sul giornale del primo trapianto di cuore si rivolse alla figlia dicendole: «Hai visto che si può». «Aveva gli occhi azzurri, in quel momento. Quella stessa notte si addormentò per sempre».

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