Scala, l'Oriente di Cio Cio-san attraverso schizzi e kimono

Al Museo della Scala la storia degli allestimenti

La mostra al museo della Scala

La mostra al museo della Scala

Milano, 12 novembre 2016 - Si può interagire con la partitura autografa, digitalizzata, di “Un bel dì vedremo”, l’aria più nota del capolavoro di Giacomo Puccini. E mentre si osservano le chiose dell’autore, possiamo scegliere se ascoltare l’interpretazione di Caroline White o quella di Renata Tebaldi o Maria Callas. Emoziona e sorprende la mostra “Madama Butterfly. L’Oriente ritrovato – Foujita e Asari per Puccini” a cura di Vittoria Maria Crespi Morbio, in collaborazione con l’archivio storico Ricordi, al Museo Teatrale alla Scala.

“La partitura originale è una traccia del lavoro del compositore, il digitale permette di andare in profondità, trovare legami fra i contenuti: il segno autografo del compositore, la musica, l’interpretazione” spiega Pierluigi Ledda, direttore dell’archivio Ricordi.  Lasciamoci trasportare da Puccini e dalla sua idea di Giappone. Il 17 febbraio 1904 va in scena alla Scala la prima di “Madama Butterfly” diretta da Cleofonte Campanini; una catastrofe che obbliga il compositore toscano a modificare la partitura e a riproporla, tre mesi dopo, al Teatro Grande di Brescia con immenso successo. Il percorso espositivo racconta le tappe principali della storia scaligera di “Madama Butterfly” e dei vari allestimenti, a partire da quello del 1904. La musica di Puccini è all’avanguardia, troppo, per gli scenografi Carlo Songa e Vittorio Rota, di cui sono esposti gli ovvi, per l’epoca, bozzetti e figurini. Non è il Giappone “autentico” voluto da Puccini ma solo una parvenza di mondi lontani, sicuramente anche questo contribuì al fiasco del debutto. Più preziose e azzeccate le cartoline disegnate da Metlicovitz per l’occasione esposte al fianco dello spartito. Ci vogliono vent’ anni per riascoltare Butterfly al Piermarini, è il 1925 Arturo Toscanini affida a Caramba, direttore dell’allestimento ed elegante costumista, la nuova produzione. Questa volta il Giappone è luminoso e fiero, i costumi giocano con lo stile tardo déco che regna in Europa. Per l’edizione storica del 1951, diretta da Victor de Sabata, la Scala chiama Tsuguhauru Foujita, artista celeberrimo che ha abbandonato Tokio per Parigi. L’allestimento diventa una leggenda, viene replicato per decenni, il pittore, amico di Chanel, omaggia l’antica cultura del suo Paese.

I costumi, incantevoli e fragili chimoni, sono da osservare con attenzione, i colori dipinti a mano su seta grezza, la rifinitura cesellata, i disegni della tradizione svelano voli di uccelli, ventagli aperti, fiori accennati. Nel 1985 sono tre giapponesi ad allestire Butterfly, Keita Asari, regista, Ichiro Takada, scenografo, Hanae Mori costumista, sul podio Lorin Mazeel. L’Oriente di Asari interroga il teatro Kabuki, Mori riproduce i motivi nipponici secondo la moda del primo Novecento. L’interno dei kimono è dipinto con storie tratte dall’arte di Utamaro e Hokusai, solo i cantanti, indossandoli, scoprivano questa bellezza segreta e trarne forza, come sarebbe piaciuto a Puccini.

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