Referedum, scritta No su Pirellone: Maroni si dissocia, scatta l’indagine interna

Luci sui piani di FI e Lega. Il governatore: iniziativa non autorizzata

Il Pirellone illuminato con l’invito a votare no al referendum

Il Pirellone illuminato con l’invito a votare no al referendum

Milano, 3 dicembre 2016 - Ultimo e inaspettato colpo di coda di una campagna referendaria giocata senza esclusioni di colpi. S’illumina, verso le 20 di ieri, il Pirellone, e ai passanti incuriositi, i primi ad aver postato le foto su Facebook, appare chiaro che quel «no» luminoso è legato al referendum. Si scatena la polemica. E parte la caccia al responsabile. Un giallo. «Le luci sono in corrispondenza dei piani che vanno dal 17 al 21 esimo – la ricostruzione degli esponenti del Pd –. Piani occupati dalle forze di maggioranza, Lega e Forza Italia. Accendere è un gioco da ragazzi, basta avere lo schema della facciata del Pirellone».

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Parte il giro delle telefonate, il presidente del Consiglio regionale, Raffaele Cattaneo (Lombardia Popolare) dispone di far spegnere le luci, cosa che avviene nel giro di una mezz’ora. E subito parte la condanna di «un’iniziativa che non è istituzionale e non è mai stata decisa in nessuna sede». Anche dalla Giunta arriva una presa di distanza sull’«iniziativa estemporanea, che non è stata autorizzata né promossa dalla presidenza». «Le istituzioni sono di tutti – sottolinea Cattaneo, che da sostenitore del No è ancor più rammaricato per l’episodio ritenendolo contro producente – e non possono essere utilizzate per la campagna elettorale di una parte. Ho disposto che venga avviata una indagine interna per verificare le responsabilità». Sulla stessa linea il capogruppo di Forza Italia Claudio Pedrazzini, che puntualizza: «Quelli che votano no non sono interessati a questo tipo di pagliacciata. È un’iniziativa che rischia di far perdere voti. Si indaghi in tutte le direzioni».

Chiuso il capitolo luci al Pirellone, resta da raccontare il resto della giornata milanese del fronte del «no». In mattinata la coordinatrice regionale di Forza Italia Mariastella Gelmini boccia la riforma costituzionale con un riferimento territoriale: «Se vince il sì, la Lombardia sarebbe penalizzata, sarebbe declassata a ente di livello amministrativo e la gestione della sanità passerebbe allo Stato». Ma se il «sì» penalizza la Lombardia, perché il governatore Roberto Maroni, però, ha appena firmato il Patto per la Lombardia con il premier Matteo Renzi? La Gelmini dribbla la domanda, ma poco prima aveva commentato così l’intesa tra il premier e il presidente della Regione: «Mi auguro che in quel Patto ci siano le cose che Renzi ha promesso. Ma in molte altre occasioni non è stato così». Sarebbe stato meglio far slittare la firma del Patto per la Lombardia dopo il voto per il referendum? «Credo più alla buona fede di Maroni che a quella di Renzi. Gli italiani, comunque, hanno bisogno di qualcuno che risolva i loro problemi, non di chi va in giro per l’Italia solo per fare campagna per il sì». Tra gli azzurri, intanto, si registra anche una certa preoccupazione per il risultato del referendum. Il capo dei senatori Paolo Romani dice a chiare lettere: «Rischiamo di perdere il referendum se gli elettori di FI non sono convinti di votare no». I grillini, infine, ieri hanno fatto una camminata per il «no» da corso Garibaldi fino a piazza Gae Aulenti. A guidarli i consiglieri comunali Gianluca Corrado, Simone Sollazzo e Patrizia Bedori.

massimiliano.mingoia@ilgiorno.net

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