Meno pallottole, più fondi neri: la mafia investe sulla corruzione

Così funzionava il meccanismo per pagare gli amici e avere favori

Frame video Dda

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Milano, 25 maggio 2017 - C'era una volta (e c’è ancora) la mafia che spara. La cosca che usa l’intimidazione per estorcere denaro, quella che gestisce il traffico di droga con violente spartizioni. Ma ce n’è anche un’altra: quella degli appalti, della corruzione pagata coi fondi neri, quella che usa la Lombardia come rifugio per le sue fabbriche di fatture false e spedisce bonifici ai padrini, specie se in carcere, verso il Sud. In silenzio. Senza minacce, senza pistole, senza dare nell’occhio. Entrambe hanno radice nelle nostre province, all’ombra dei campanili delle placide cittadine di Brianza, nella frenesia dell’hinterland. 

A fornirne la prova, l’ultima operazione della Dda di Milano, che ha stroncato la scorsa settimana con 14 arresti il giro d’affari della famiglia Laudani di Catania, che con i soldi prodotti con fatture false ed evasione dell’Iva accantonava i fondi per mantenere moglie e figli ai carcerati di mafia e per pagare chi si prestava a dare una mano negli appalti «puliti» dei supermercati e degli istituti di vigilanza. A confermarlo, anche la confisca definitiva, scattata ieri e decisa dal Tribunale di Monza, di un ristorante a Lissone, in Brianza, che non alterava i conti, ma era un pezzo di patrimonio costruito secondo i giudici grazie ai redditi della cosca di ’ndrangheta dei Piromalli, investiti anche in appartamenti e quadri d’autore: la patina di solidità borghese per l’imprenditore di 49 anni, Filippo Valente, che in un agguato aveva perso a distanza di 15 anni padre e fratello. 

Ma quello che svela l’ultima operazione firmata Ilda Boccassini è un meccanismo economico, simile a quello della normale corruzione politica: evasione fiscale per accantonare contanti, per poi foraggiare l’organizzazione (in questo caso la mafia catanese), e pagare «amici» e faccendieri in posti chiave: ex amministratori, ex funzionari o dipendenti pubblici. Gente che sa entrare nelle stanze dei Comuni, magari anche al Senato, in grado di informarsi su una gara, di prendere il caffè con il sindaco, col consigliere o l’onorevole.

Con lo stesso meccanismo si «lavorava» sull’appalto della security del Tribunale di Milano, si tentava il colpaccio sui lavori alla Villa Reale di Monza e ci si insinuava dentro la rete logistica dei supermercati Lidl in Piemonte e Sicilia. Il vero patrimonio, quindi, diventano i «rapporti» personali. Con un unico schema: distinguere le società che devono fare utili, prendendo gli appalti, da quelle che devono finire spolpate e rottamate, dopo aver emesso fatture false. Per quelle, meglio sedi fiscali fuori di mano. Come il Pizza Planet di Lissone e le società di servizi nate e morte nel Cremasco e nell’hinterland di Milano. E se la Finanza, per caso, ci metteva gli occhi sopra, c’era sempre l’amico in divisa grigia pronto a dare dritte sulle inchieste.

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