Sì alla cannabis fatta in casa «Ma serve il registro dei coltivatori»

Il neurologo approva la nuova proposta di legge: l’alcol fa più danni. «Esistono specie utilizzate per attenuare la depressione o i sintomi della Sla» di Benedetta Dalla Rovere

Una piantagione di marijuana

Una piantagione di marijuana

Milano, 17 luglio 2015 - «Meglio coltivare marijuana in casa, utilizzando semi controllati, che vietarne l’uso, confinando i consumatori nell’illegalità». Non ha dubbi il professor Vidmer Scaioli, neurologo dell’Istituto Besta di Milano. La nuova proposta di legge - in discussione in Parlamento e forte già di 218 firme bipartisan - che autorizza la coltivazione domestica, arrivando fino ad un massimo di 5 piantine, o l’aggregazione in ‘Cannabis social club’, lo trova decisamente favorevole.

Professore, quali sono gli aspetti positivi? «Oggi ci sono già molte più persone che coltivano marijuana rispetto a quanto si creda. Anche la spesa si abbassa. In casa il costo va dai 6 agli 8 euro al grammo, contro i 10-15 euro se la si acquista dagli spacciatori. E la qualità è nettamente superiore».

Non c’è il rischio che la situazione scappi di mano? «No, perché chi decide di coltivare verrà registrato e censito. Si saprà chi produce, quali piante ha scelto e in che quantità. Adesso la situazione non è così chiara».

Verrebbe tutto mappato, quindi. «Sì, se passasse la legge ci sarebbe una mappatura capillare e si potrebbero anche monitorare le situazioni borderline».

E chi è portato all’eccesso? «Studi scientifici hanno mostrato che chi tende a esagerare e a sviluppare comportamenti antisociali spesso ha già dovuto affrontare situazioni di disagio personale a familiare. Ad esempio i ragazzi che vanno male a scuola, le persone che non riescono a inserirsi».

Come evitare gli abusi, allora? «Per questo tipo di casi sono previste limitazioni. Si potrà ad esempio permettere di coltivare solo una o due piantine. Grazie a colloqui periodici con gli psicologi si potranno anche prevenire comportamenti morbosi».

A chi dice che dalle ‘canne’ spesso si passa ad altre sostanze, cosa risponde? «È ormai dimostrato che questo non succede praticamente mai. Non solo. Studi fatti dalle università americane su chi ha causato incidenti stradali, hanno mostrato che l’uso della marijuana non incide in maniera sostanziale, come invece accade per la cocaina e le anfetamine».

È più pericoloso l’alcol quindi? «Certamente è molto più dannoso e molto spesso è causa di incidenti letali. Senza contare che se si liberalizzasse la cannabis, magari tanti ragazzi perderebbero interesse. Certamente il gusto di fare una cosa proibita svanirebbe e magari in tanti non ne sarebbero più così incuriositi».

E per quanto riguarda l’uso della cannabis a fini terapeutici? «Il discorso è molto diverso. È utilissima per curare patologie depressive, per attenuare i sintomi di malattie come la sclerosi multipla o per sopportare meglio il dolore. Gli effetti benefici sono tanti e la ricerca in questo senso ha fatto enormi passi avanti».

Sarebbe giusto consentire anche ai pazienti che seguono questo tipo di terapia di coltivare a casa le piantine? «Sì, in Olanda è già stato fatto con successo. Si tratta però di tipi diversi di piante rispetto alla marijuana per uso ludico. Per uso medico vengono utilizzate 5 specie, tutte brevettate. I pazienti dovrebbero aver accesso a questo tipo di sostanze».

Ci sono anche delle ricadute economiche. «Intorno al discorso cannabis c’è un’economia che sta crescendo. Non tutti i tipi di cannabinoidi hanno effetti psicotropi e psicoattivi. Questo tipo di piante stanno tornando in auge nel settore alimentare, nella produzione di cosmetici o nel settore tessile».

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