Contatti con la 'ndrangheta ma senza saperlo. L'azienda non è responsabile

Superata quindi l'interdittiva antimafia: i giudici infatti sottolineano che l’ad dell’impresa e i suoi familiari sono «rimasti totalmente estranei» all’inchiesta sul clan

La Guardia di Finanza

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Milano, 3 settembre 2014 - Se un'impresa «nell’intreccio dinamico dei propri rapporti commerciali ha un fornitore organico in ambienti criminali, non può per ciò solo, in assenza di altri elementi significativi, essere tacciata di essere condizionata nella propria attività dalla criminalità organizzata». È il principio stabilito da due recenti sentenze del Consiglio di Stato che hanno dato ragione ad un’azienda milanese, operante nel delicato settore del movimento terra soggetto a infiltrazioni della ‘ndrangheta, «bocciando» la misura di interdittiva antimafia dagli appalti pubblici che era stata disposta nei suoi confronti dalla Prefettura di Milano.

In particolare, il procedimento aveva per oggetto un’interdittiva antimafia disposta nel 2008 nei confronti dell’impresa, la Giada Macchine srl, per rapporti commerciali avuti nei lavori sulla linea ferroviaria Milano-Mortara con imprese legate alla cosca della ‘ndrangheta Barbaro-Papalia, smantellata dall’inchiesta Cerberus, una delle importanti indagini degli ultimi anni contro la mafia calabrese radicata in Lombardia. Al centro del contenzioso tra l’impresa, rappresentata dagli avvocati Oreste Giambellini e Luciano Salomoni, e il ministero dell’Interno e la Prefettura di Milano c’era anche una informativa interdittiva del 2012 sempre relativa a presunte infiltrazioni mafiose.  Con le due sentenze, depositate pochi giorni fa, la terza sezione del Consiglio di Stato, ribaltando in particolare un precedente giudizio del Tar, ha dichiarato, in sostanza, la nullità dell’interdittiva. In primo luogo, i giudici sottolineano che l’ad dell’impresa, Domenico Savinelli, e i suoi familiari sono «rimasti totalmente estranei» all’inchiesta sul clan della ‘ndrangheta. E poi, accogliendo la tesi dei legali Giambellini e Salomoni, chiariscono un principio: il fatto che Giada Macchine abbia avuto «mere relazioni economiche» con un’altra impresa «del tutto lecita, sebbene guidata da esponenti della criminalità» non può portare al «grave provvedimento» dell’interdizione dagli appalti, se non c’è la prova dell’intento «o solo la consapevolezza di agevolare un determinato sodalizio mafioso».

Ciò per il «delicato equilibrio» che deve sussistere tra «diritti di libertà di impresa» ed «esigenze di politica repressiva e preventiva». I giudici spiegano anche che in questo caso non sussiste «alcuna interferenza o condizionamento sull’imprenditore», che «continua a determinarsi del tutto autonomamente secondo la logica del mercato». Purtroppo, ha spiegato l’ad Savinelli, «questo riconoscimento di estraneità alla mafia arriva solo dopo sei anni». 

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