Colpito con le uova marce dai manifestanti: "Contestatori poco furbi, troppi i delinquenti"

Il notaio di Bareggio Giuseppe Pirazzini bersaglio dei manifestanti di Milano di Camilla Garavaglia

Giuseppe Parazzini bersaglio del lancio di uova (Ansa)

Giuseppe Parazzini bersaglio del lancio di uova (Ansa)

Milano, 3 maggio 2015 - Quando si è affacciato alla finestra del suo studio per esporre il tricolore, il notaio Giuseppe Parazzini, classe 1944, ha pensato di esprimersi attraverso un gesto che gli è parso tutto meno che provocatorio. «Il mio mestiere è quanto di più lontano esista dalla provocazione» avrebbe, infatti, spiegato poi. Eppure, quella bandiera appesa alla balconata è stata bersaglio del lancio di uova marce da parte di alcuni contestatori di Expo, e la foto del notaio dritto come un fuso nonostante gli schizzi di albume sulla giacca elegante ha presto fatto il giro del web.

Come le è venuto in mente di far sventolare il tricolore nonostante quanto stava accadendo per le strade di Milano? «Guardi, ho sentito urla e schiamazzi arrivare fino alla finestra del mio studio. Mi sono detto: vuoi vedere che sta passando di qui il gruppo dei contestatori? Mi sono affacciato e li ho visti lontanissimi. Alcuni di loro erano vestiti di nero. È stato per me spontaneo rivendicare l’orgoglio italiano di fronte a quello scempio, anche se ho subito visto qualche gestaccio da parte della folla. Qualcuno mi ha gridato: ‘Fascista!’. Poi sono arrivate le uova».

Il suo è stato un gesto in difesa di Expo? «No, non lo definirei così. Abitando a Bareggio, nell’Altomilanese, ho visto Expo crescere di giorno in giorno con i miei occhi, fino all’accelerata finale, incredibile, delle ultime settimane. Ho pensato a lungo che Expo fosse una ‘baracconata’, dico la verità, ma ora che c’è e dobbiamo tenercela cerchiamo di sfruttarla al meglio anche per ritrovare un po’ d’identità nazionale».

Quindi non ha senso contestare in questo momento Expo? «Aspettiamo che termini, dico io. Poi, potremo tornare a parlare seriamente delle tematiche più pressanti. In questo momento, protestare in quel modo significa solo far danni».

Possiamo dire che lei è del tutto contrario alla protesta? «Penso che i contestatori non siano stati poi così furbi. Avrebbero dovuto chiedere uno spazio ufficiale per protestare, così avrebbero avuto un successo inimmaginabile e avrebbero raccolto molto più consenso. Il vero problema è che fra loro c’erano molti delinquenti, e i risultati si sono visti».

Molti lanciatori di uova erano giovani. Che impressione le fa? «I giovani e anche i loro genitori devono imparare che nella vita non si può avere tutto e subito. Dovrebbero, maschi e femmine, dedicare un periodo al servizio gratuito della propria comunità, lavorare sodo sui doveri e solo dopo, ma molto dopo, iniziare a chiedere qualche diritto. Sa cosa manca? L’educazione».

È questo il suo messaggio nei confronti dei più giovani, magari anche precari? «Non bisogna illudersi, purtroppo la vita è sacrificio. Una volta, tutto era più graduale... oggi si pretende tutto più in fretta».

Lei è stato presidente nazionale dell’Associazione Nazionale Alpini dal 1998 al 2004 e non è raro vederla in giro col cappello di alpino. Questi principi li ha imparati lì?  «Tra gli Alpini, certo, ma anche a scuola e in famiglia. Sono nato a Magenta e sono cresciuto tra i Comuni dell’Altomilanese: si tratta di paesi in cui oratorio, scuole e famiglie hanno sempre svolto bene il proprio compito educativo».

Qual è, a parer suo, un modo efficace per rimettere in sesto la bussola dei ragazzi?  «La leva obbligatoria, per maschi e femmine, fatta bene. L’associazione nazionale Alpini ha un progetto in questo senso da proporre allo Stato. Dopo Expo, magari, torneremo a parlare di questo tema, perché no».

di Camilla Garavaglia