Primo trapianto di fegato da donatore in arresto cardiaco: è su un paziente Lecchese

L'intervento al Niguarda di Milano in sinergia con le tecniche d'avanguardia del San Matteo di Pavia. Si tratta di una procedura innovativa, mai utilizzata prima nel nostro Paese ed è destinata ad abbattere i tempi di attesa di Daniele De Salvo

Una sala operatoria

Una sala operatoria

Lecco, 14 settembre 2015 – Ha quarant'anni, si chiama Mustafà, è originario del Senegal ma vive in provincia di Lecco il primo trapiantato di fegato in Italia da un donatore in arresto cardiaco. Si tratta di una procedura innovativa, mai utilizzata prima nel nostro Paese ed è destinata ad abbattere i tempi di attesa che mediamente per un trapianto di fegato si aggirano intorno ai 24 mesi, regalando nuova speranza ai circa mille pazienti in lista di attesa. «No so che dire, sono contento – riesce solo a dire lui -. Spero di poter riuscire a tornare a correre, che è la mia grande passione».

L'eccezionale e innovativo intervento è stato eseguito il 3 settembre, ma la notizia è stata comunicata solo quest'oggi, lunedì, una volta superato nel migliore dei modi il periodo di osservazione del decorso postoperatorio. A eseguirlo sono stati i sanitari dell'ospedale Niguarda Ca' Granda di Milano, del Policlinico San Matteo di Pavia e del Centro nazionale dei trapianti. In pratica è stato utilizzato un organo anche dopo il prolungato periodo di assenza di attività cardiaca, un lasso di tempo che avrebbe potuto esporre gli organi a danni irreversibili e compromettere il buon esito del trapianto.

Dal sito internet della clinica milanese spiegano che «La procedura utilizzata è definita tecnicamente “trapianto da donatore a cuore non battente” e si differenzia dal protocollo tradizionale per il prelievo degli organi che normalmente avviene da un donatore in stato di morte cerebrale. In questo caso, invece, il decesso è stato dichiarato in seguito alla cessazione dell’attività cardiaca e il prelievo è stato effettuato rispettando quello che gli addetti ai lavori chiamano “no touch period”, ossia un periodo di osservazione che in Italia è di 20 minuti e addirittura appena di cinque nel resto d’Europa, e che conclude il processo dell’accertamento di morte».

Si tratta quindi di un caso di rilievo scientifico internazionale. Il prelievo degli organi, si legge sempre sulle pagine web del Niguarda, è stato possibile grazie a delle particolari tecniche di circolazione extracorporea. La perfusione e il prelievo degli organi sono avvenuti presso l'ospedale San Matteo di Pavia attraverso l’intervento della dottoressa Marinella Zanierato dell’equipe di Rianimazione 1 diretta dal professore Antonio Braschi. «E’ la prima volta che preleviamo un fegato a cuore non battente – spiega lei – ma sicuramente ci è servita l’esperienza maturata in sette anni nel prelievo di reni con la stessa tecnica».

Il fegato prelevato è stato, quindi, trasportato a Niguarda dove è stato trapiantato dall’équipe della Chirurgia generale e dei Trapianti, diretta da Luciano De Carlis,il quale con il collega Andrea De Gasperi direttore dell’Anestesia) sottolineano che «Il fegato ha dimostrato un'ottima ripresa funzionale ed il paziente ricevente, sottoposto al trapianto per una grave malattia epatica terminale, è attualmente in buone condizioni generali». Dallo stesso donatore, oltre al fegato sono stati prelevati i 2 reni, trapiantati con successo rispettivamente a Pavia dal dottor Massimo Abelli e dalla dottoressa Elena Ticozzelli all'ospedale San Raffaele di Milano. «Va sottolineato il perfetto coordinamento tra i componenti delle diverse equipe», commenta il direttore sanitario del Niguarda Giuseppe Genduso, che a Lecco tra l'altro è stato direttore generale. «Abbiamo potuto fare tutto ciò grazie all'utilizzo di tecniche d'avanguardia del San Matteo e grazie al gioco di squadra che vince sempre», gli fa eco il direttore generale del San Matteo Angelo Cordone.