Gaspare d’assolo. Finchè c’è vita c’è da (far) ridere

Nino Formicola senza Zuzzurro

Nino Formicola, in arte Gaspare

Nino Formicola, in arte Gaspare

Milano, 25 settembre 2016 - «Se non sei in tv non esisti. Sa che la gente pensa che insieme al mio socio sia morto anch’io? Le assicuro che è una visione cinica ma molto realistica della vita di un comico». Lo sfavillante mondo dello spettacolo. Pronto in un batter di ciglia a trasformarsi in un mostro feroce. Ma al di là dell’ amarezza, per Nino Formicola i sipari sono sempre aperti. Vivo e scalciante Gaspare, nonostante il dolore di aver visto andarsene troppo presto Andrea Brambilla, per gli amici Zuzzurro. E in attesa del debutto a teatro, stasera alle 21 fa una specie di prova generale del suo “D’Assolo”, allo Zelig di viale Monza (biglietti 15/12 euro). Dove si racconta della paura di non far ridere e dei mille trucchetti per strappare un sorriso, perché dopo quarant’anni di carriera un po’ di mestiere lo si conosce.

Nino, qual è il tema centrale del suo “D’Assolo”? «L’ansia da invenzione che tormenta il comico. Il timore di non far ridere. E per raccontare questa paura, spiego i vari modi con cui si è cercato di far ridere nel corso della storia. Ma è ancora un work in progress, come si faceva una volta, quando si provavano prima i pezzi davanti al pubblico».

Non vorrà farci credere che il palcoscenico le fa ancora paura… «Guardi, questo genere di timore non passa mai. Vasco Rossi può cantare senza problemi “Vita spericolata”: dopo 35 anni e la gente va in delirio. Ma per noi comici è diverso. Fortunatamente capita anche che le cose abbiano vita propria e diventino perfino dei classici. Questo ti fa riflettere sui meccanismi della risata. L’attualità finisce dopo due giorni, mentre il nostro sketch su Biancaneve lo avremmo potuto fare ancora nel 3020 perché parla a tutti, rimane leggibile. Cosa se ne fanno ora i colleghi di tutte quelle battute su Berlusconi?».

La tv ha cambiato il modo di far ridere? «Diciamo che non si può più proporre uno sketch come quello di San Gennaro de La Smorfia. Il tempo è accelerato, in tre minuti sei costretto a fare una raffica di battute. Ci vorrebbe l’astuzia di utilizzare lo schermo per farsi conoscere e portare poi la gente a teatro. Ma non tutti hanno poi quel tipo di talento. Comunque non sono sbagliati gli strumenti, sono sbagliati gli usi che se ne fanno. Prendersela con la tv è come prendersela con tablet e cellulari: siamo calati nel nostro tempo, bisogna farci i conti».

Come definirebbe la sua comicità? «La solita angolazione diversa dalla quale osservare le cose. Con un po’ più di cinismo. Sono sempre stato quello più cattivo dei due. Vado a toccare argomenti di cui di solito non si ride, credo sia questo il compito del comico».

Un ricordo dei tanti anni con Andrea? «Non avrei mai immaginato che la gente avesse di noi un’immagine così bella e affettuosa. E nemmeno che i ragazzi più giovani andassero a vedere i nostri sketch su youtube. Capisci che la battuta finisce ma il meccanismo comico resiste. Ed è questa è la vera sfida».