In Lombardia avanzano i caporali: dettano legge da Pavia a Mantova

Specialisti in truffe, raggiri e minacce. Sfruttano italiani e stranieri di GABRIELE GABBINI

Stagionali all’opera nei campi

Stagionali all’opera nei campi

Milano, 24 marzo 2016 - Puglia, Calabria, Sicilia o Campania: sono sempre loro le regioni più chiacchierate. Quando si parla di caporalato infatti ci sono dizionari che a tutt’oggi definiscono questo fenomeno come un «sistema di reclutamento della manodopera attuato nel meridione ad opera dei caporali». Eppure da anni ormai anche il Nord Italia sembra essersi ritagliato una fetta sempre più importante del business della schiavitù, tanto che negli ultimi anni ai vertici di questa speciale classifica, stilata attraverso gli studi commissionati annualmente dalla Flai Cgil, ci sono anche Lombardia, Piemonte ed Emilia. Difficile restituire le esatte cifre di un fenomeno per sua stessa definizione «sommerso», ma nella pianura padana in particolare i dati, rilevati dall’Istat, parlano di una crescita esponenziale dello sfruttamento che negli anni ha visto il proprio tasso di irregolarità lievitare dal 16,4 degli anni 2000 (tra i più bassi d’Italia) fino al 31,0 del 2011 (tra i più alti), per un trend in continua crescita.

In Lombardia nello specifico le zone considerate più a rischio sono il Lecchese, la Franciacorta (Brescia) e le campagne intorno a Pavia (Oltrepo e Lomellina). Ma anche Milanese, Monzese e Comasco sono zone classificate sotto la voce «condizioni di lavoro indecenti». Molti dei lavoratori impiegati sono italiani, mentre soprattutto il Bresciano spicca per l’utilizzo di stranieri, provenienti soprattutto da Pakistan, India o Est Europa. Proprio in Franciacorta infatti si raccoglie la più alta percentuale di lavoratori stranieri, ben 1.300 su 1.900 occupati regolarmente registrati. I tipi di sfruttamento comprendono non soltanto truffe ai danni dei lavoratori sull’ammontare dei salari (pratica diffusa in particolare nel Lecchese), ma anche vere e minacce o violenze psicofisiche (da Mantova a Pavia, dove si registra la maggiore concentrazione di caporali), fino all’aggiudicazione illecita di appalti (concentrata su provincia di Monza e Milano).

Un flusso di operai continuo insomma, che si sposta continuamente a seconda delle opportunità di lavoro. Infatti l’occupazione nel settore agricolo inizia e finisce in periodi differenti, in base al tipo di coltura, per un fenomeno che può essere diviso in tre “stagioni” e tre macro-aree geografiche: la prima, che racchiude Como, Lecco, Cremona, Lodi, Mantova e Bergamo, registra il “tutto esaurito” tra aprile e settembre, in modo pressoché continuativo; nella seconda, che va dall’Oltrepo pavese fino alla provincia di Sondrio (Livigno, Bormio e Chiavenna), il lavoro parte tra gennaio e febbraio per finire ad ottobre, con punte fino a novembre e dicembre; infine la terza, interamente ascrivibile al Bresciano, dove l’impiego di uomini e mezzi tocca periodi dell’anno diversi: in parte in maniera continuativa (a Brescia città e a Rovato), e in parte in modo più circoscritto, con 5/7 mesi di lavoro nelle zone di Portolio, Lonato e Adro.

Ne consuegue un ricambio pressoché continuo, che favorisce lo spostamento di micro-flussi di lavoratori stranieri in tutta la regione, prima che in tutta Italia, rendendo il tessuto lavorativo sempre più debole e frammentato e favorendo anche l’inserimento della criminalità organizzata. Insomma, una situazione che si fa di anno in anno sempre più grave e per la quale è necessario correre subito ai ripari. Come? «L’unica possibilità – spiega il professor Francesco Carchedi, docente all’Università La Sapienza di Roma e tra i responsabili del rapporto Agromafie e Caporalato per la Flai Cgil – è quella di creare una rete trasparente tra domanda e offerta, affinché la ricerca di lavoratori sia sempre più ad appannaggio delle pubbliche amministrazioni e sempre meno nelle mani sporche dei caporali e della mala».

di GABRIELE GABBINI