Processo Bossetti, sul comodino il libro di Sollecito. La dedica: "Va’ avanti Massimo"

"Voglio una perizia sul Dna. Non si può condannare senza ripetere l’esame. Mi auguro che la Cassazione lo conceda"

Raffaele Sollecito

Raffaele Sollecito

Bergamo, 20 luglio 2017 - "Ho perso fiducia nella giustizia. Mi fanno marcire in carcere senza potermi difendere. Voglio una perizia sul Dna. Non si può condannare senza ripetere l’esame. Mi auguro che la Cassazione lo conceda". Nel carcere bergamasco di via Gleno, Massimo Bossetti riceve la visita di un politico lombardo (che al termine esprime apprezzamento per la conduzione dell’istituto). Cella 4 del reparto “protetti”, letto a castello, televisore, piastra elettrica. Bossetti si presenta in pantaloncini grigi, canotta blu, ciabatte nere. Al dito la sua fede e quella del padre morto. "Ci speravo. Alle undici e mezzo di sera ho iniziato a sperare almeno nella perizia per avere chiarezza. Voglio chiarezza. Tornato in aula, mi ha colpito la massiccia presenza delle forze dell’ordine".

Descrive la sua giornata: sveglia alle 5.30-6, colazione, pranzo con un po’ di frutta, dalle 13-15 al sole, su un asciugamano, cucina la cena e prepara dolci. Legge molto, romanzi sugli errori giudiziari e sul carcere, ultimi titoli “Il tempo degli innocenti” di Michele Leoni e “Quindici passi” di Andrea Di Strada. Raffaele Sollecito gli ha spedito il suo libro, “Un passo fuori dalla notte”, con la dedica: Va’ avanti Massimo". Riceve una decina di lettere al giorno, anche da Olanda, Canada, Thailandia. Ha rispolverato il mestiere di muratore per piastrellare la sala ricreazione per i detenuti del reparto. Il futuro, chiede il politico? "Vivo alla giornata. Sto in vita solo per i miei figli. Li vedo una volta alla settimana. Mi chiedono sempre quando torno a casa. Sono la mia forza. Vorrei rimanere qui per vedere la famiglia".