Più setta che partito

Il «Beppe Grillo chi?», pronunciato provocatoriamente da Federico Pizzarotti l’altra sera a «Bersaglio mobile» da Mentana, è la pietra tombale su un matrimonio finito prima ancora di cominciare di GIULIANO MOLOSSI

Milano, 15 maggio 2016 - Il «Beppe Grillo chi?», pronunciato provocatoriamente da Federico Pizzarotti l’altra sera a «Bersaglio mobile» da Mentana, è la pietra tombale su un matrimonio finito prima ancora di cominciare. Non ci saranno le controdeduzioni del sindaco al diktat di stampo stalinista dello «staff di Beppe Grillo», alla sospensione seguirà l’espulsione, e all’espulsione forse uno strascico giudiziario in tribunale. Se l’anno prossimo vorrà ricandidarsi a sindaco, Pizzarotti dovrà farlo sotto un’altra bandiera e non da ieri a Parma molti sospettano che possa essere quella del Pd. Quello che non è stato detto è che il rapporto con Grillo finì un giorno dopo la clamorosa elezione (coi voti determinanti del centrodestra escluso dal ballottaggio). E cioè finì quando Pizzarotti, preso dall’entusiasmo per l’insperata vittoria, annunciò di aver scelto un bravissimo city manager. 

Un minuto più tardi la Casaleggio associati gli fece sapere che quel nome non era affatto gradito. Così si guastarono i rapporti, da quel momento il Pizza finì sulla lista nera. E subito apparvero lontani i bagni di folla della campagna elettorale con il guru che urlava invasato, abbracciando il giovane pupillo lanciato alla conquista della città: «Se vorranno fare l’inceneritore dovranno passare sul suo cadavere!». Inceneritore, naturalmente, che poi si fece lo stesso, senza spargimenti di sangue. Pizzarotti è andato subito in disgrazia. Grillo e Casaleggio erano infastiditi dalla sua autonomia di giudizio, dalle sue critiche alle prime epurazioni (quella di Favia, in particolare) dalle sue iniziative non concordate con i vertici del movimento, dalla sua popolarità. E così, piano piano, una goccia di veleno dopo l’altra, uno schizzo di fango dopo l’altro, cominciò la campagna per farlo fuori. Appaiono oggi patetici quei tentativi di Pizzarotti per avere almeno un cenno da Fico o da Di Maio, quella sfilza di messaggini rimasti senza risposta.

Quel silenzio significava solo una cosa: che Pizzarotti era già morto. E allora il Direttorio del M5S doveva aspettare solo un pretesto qualsiasi per ufficializzare la cacciata del fastidioso dissidente. E cosa ci poteva essere di meglio di un avviso di garanzia per abuso d’ufficio non comunicato ai capi? Sapevi e hai taciuto? Fuori! È così che funziona in casa Cinquestelle, se lo mettano bene a mente i candidati a sindaco alle imminenti elezioni. Tra indagati ed epurati, Grillo e compagnia stanno facendo un bel regalo agli avversari proprio a un passo dal traguardo. Sarà contenta Virginia Raggi, favorita a Roma, di tutta questa bufera? E che dirà sotto la Mole la trentunenne bocconiana Chiara Appendino che punta alla poltrona di Fassino? Sono proprio sicuri i signori del Direttorio, questi misteriosi capi autoproclamatisi tali, che l’elettorato mostrerà di gradire questo modo di procedere molto più simile a quello di una setta che a quello di un partito?

di GIULIANO MOLOSSI

giuliano.molossi@ilgiorno.net