Duplice omicidio di Samarate, speranza per il ragazzo massacrato dal padre

I familiari: "Nicolò ci riconosce e ci saluta, lottiamo insieme a lui"

Nicolò Maja e gli investigatori a Samarate

Nicolò Maja e gli investigatori a Samarate

Nicolò Maja riesce a comunicare a gesti, nella stanza dell’ospedale di Circolo di Varese dove è ricoverato dallo scorso 4 maggio, quando il padre lo ha massacrato. Pronuncia a fatica un "ciao", quando i parenti vanno a trovarlo, che fa balenare la speranza nella sua battaglia per la vita, dopo essere uscito dal coma. "Ci riconosce – spiega lo zio, Mirko Pivetta – ci saluta, e questo significa che non ha perso la memoria. I medici giustamente non si sbilanciano, e il percorso sarà lungo anche dal punto di vista psicologico. Noi non possiamo fare altro che pregare, andarlo a trovare tutti i giorni e sperare che a piccoli passi riesca a riprendersi". Spenti i riflettori resta il dolore della famiglia, appesa ai segnali di speranza che arrivano dall’ospedale, mentre proseguono le indagini, coordinate dalla Procura di Busto Arsizio, per ricostruire i contorni della strage familiare. I carabinieri del Ris torneranno nella villetta a due piani in via Torino a Samarate, nel Varesotto, dove la notte fra il 3 e il 4 maggio il geometra 57enne con studio a Milano Alessandro Maja ha ucciso la moglie Stefania Pivetta e la figlia Giulia, massacrando a colpi di martello anche il primogenito Nicolò, unico superstite. Ultimi rilievi dei militari specializzati nelle investigazioni scientifiche, nella casa ancora sotto sequestro, per ricostruire la dinamica.

Alessandro Maja, intanto, detenuto nel carcere di Monza, verrà sottoposto a una perizia psichiatrica, per valutare le sue condizioni e raccogliere tasselli per definire i contorni di una mattanza che resta senza un movente ben definito, in vista di un processo che potrebbe aprirsi nei prossimi mesi. Al vaglio dei carabinieri contatti e conti, movimenti finanziari, debiti legati alla sua attività professionale a Milano dove gestiva uno studio di progettazione in via Ascanio Sforza 31, sul Naviglio Pavese. Stesso indirizzo della società, la Jam e Vip Srl, creata nel 2008 per gestire un quadrilocale di proprietà della coppia nella zona dei Navigli, affittato a un bar, che garantiva una rendita di circa 20-25mila euro all’anno. Si raccolgono elementi per spiegare quella "ossessione di trascinare la famiglia nella povertà" che lo affliggeva nelle settimane precedenti alla strage. Problemi forse ingigantiti dalla sua mente, e trasformati in ostacoli insormontabili.

Dopo una notte insonne, armato di martello, ha ammazzato la moglie che dormiva sul divano. Poi si è accanito sulla figlia 16enne, addormentata nella sua stanza, e infine ha colpito il 23enne Nicolò. Nei suoi deliri, dopo la mattanza, ha anche cercato di togliersi la vita, procurandosi alcune ferite. Fino a quando i vicini, attirati dalle sue urla, hanno chiamato i soccorsi. "Deve pagare per quello che ha fatto, per il dolore che ha provocato", spiega il cognato, Mirko Pivetta, che ha perso la sorella e la nipote.

"Vorremmo capire anche noi che cosa lo ha spinto ad agire – prosegue – perché se una persona è afflitta da problemi economici insormontabili in genere si toglie la vita, non massacra la sua famiglia. Prima di quella notte non aveva mai dato segni di violenza e non c’erano state avvisaglie particolari, altrimenti avremmo portato via Stefania e i ragazzi, li avremmo protetti con ogni mezzo". Anche il legale della famiglia, l’avvocato Stefano Bettinelli, attende "gli esiti delle indagini e delle valutazioni psichiatriche". Nel processo la famiglia potrebbe costituirsi parte civile. Intanto Maja ha revocato l’incarico all’avvocato che lo aveva assistito dopo l’arresto, nominando un nuovo difensore.