L’omicidio di Cristina Mazzotti Chiesto il processo per Morabito

Indicato come boss della ’ndrangheta, insieme ad altri tre compari avrebbe ideato il rapimento della ragazza

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di Paola Pioppi

Nella nuova indagine sul sequestro e l’omicidio di Cristina Mazzotti, compare anche il nome di Giuseppe Morabito, 78 anni residente nel Varesotto. Per lui, indicato come boss della ‘ndrangheta, la la Procura di Milano ha chiesto il rinvio a giudizio assieme a tre altri imputati, Demetrio Latella, Giuseppe Calabrò e Antonio Talia, anche loro vicini alla ‘ndrangheta. Morabito è ritenuto uno degli ideatori del rapimento, avvenuto a Eupilio la sera del 1° luglio 1975.

Dopo anni di silenzio, il caso era stato riaperto di recente, con una nuova indagine condotta dalla Squadra Mobile di Milano coordinata dal sostituto procuratore Stefano Civardi, anche grazie all’esposto dell’avvocato Fabio Repici: l’avviso di conclusione era stato notificato a novembre scorso ai quattro imputati, con l’accusa di concorso in omicidio volontario aggravato dalla crudeltà.

Quasi 48 anni fa, la diciottenne Cristina Mazzotti era stata la prima donna rapita dall’Anonima sequestri al Nord, mai più tornata a casa. Morabito, Latella, Calabrò e Talia, in concorso con altre tredici persone già condannate in passato, secondo la Procura, "presero parte attiva e portarono a compimento la fase esecutiva del sequestro", che si concluse con la morte della ragazza, tenuta segregata in una buca a Castelletto Ticino, in provincia di Novara. Il decesso fu causato dalle dosi massicce di tranquillanti somministrate a Cristina per mantenerla sedata durante la prigionia. Al padre della ragazza furono chiesti 5 miliardi di lire di riscatto: dopo un mese l’uomo racimolò un miliardo e 50 milioni e consegnò il denaro. Ma il 1° settembre ‘75, una telefonata anonima indicò ai carabinieri di scavare in una discarica di Galliate, sempre nel Novarese, dove fu trovato il cadavere.

La prima indagine portò alla condanna all’ergastolo di otto persone: custodi, centralinisti, ricattatori, alcuni complici. Ma gli esecutori materiali non vennero mai individuati: una cellula che agì su commissione e che consegnò la ragazza a chi aveva gestito il rapimento nei giorni successivi. Morabito avrebbe fornito anche un’auto che servì da civetta per segnalare l’arrivo della Mini Minor, su cui viaggiava Cristina assieme a due amici, che stavano rincasando, facendo poi da staffetta verso il luogo della prigionia.