Jungle Cruise: la recensione del film con Emily Blunt e Dwayne Johnson

Il film di Collett-Serra? Esagerato, spettacolare e divertente. Al cinema dal 28 luglio

Una scena di Jungle Cruise

Una scena di Jungle Cruise

di Damiano Panattoni - Il cinema d’avventura – rigorosamente per tutta la famiglia – è tornato grande. Aggettivo, questo, che si adatta perfettamente a "Jungle Cruise" di Jaume Collet-Serra e ispirato alla celebre e omonima attrazione dei parchi Disneyland. Grande, infatti, è la messa in scena del film che, in due ore piene, non ha paura di esagerare e divertire. E (letteralmente) grande non può che essere Dwayne Johnson, che ha finalmente abbandonato i panni dell’eroe-tutto-muscoli per diventare finalmente un vero e proprio attore, vestendo qui i panni Frank, arrogante e spiritosa guida che porta i turisti lungo il Rio delle Amazzoni. Con lui, c’è un’Emily Blunt dai tempi comici perfetti, irresistibile e tosta nel ruolo della dottoressa Lily Houghton, volata da Londra per inseguire un’antica leggenda.

Già perché "Jungle Cruise" ci porta all’inizio del XX Secolo, quando un’impavida ricercatrice si mette in viaggio per la Foresta Amazzonica con la missione di trovare il famoso Albero della Vita che, grazie ai suoi fiori, potrebbe rivoluzionare il mondo della medicina. Ovviamente non è l’unica a voler trovare il mitologico Albero e, per correre più veloce dello spregevole principe tedesco Joachim (Jesse Plemons, sempre bravo), si affida alla sgangherata barchetta La Quila, guidata da un capitano tanto borioso e bugiardo quanto coraggioso e altruista. Dunque: se la coppia protagonista è una delle migliori dell’anno, eccezionale nel saper emozionare e far ridere (di gusto), mostrando un sincero affiatamento costruito sulle stesse corde emotive, il film di Jaume Collet-Serra (si) lancia in una sfida tutt’altro che facile.

Quale? "Jungle Cruise" – nelle intenzioni e nell’estetica – vuole essere (e ci riesce…) il nuovo fantasy adventure movie di punta prodotto dalla Disney, prendendo lo spazio lasciato vuoto dalla saga de I Pirati dei Caraibi. Paragone scomodo? No, perché sarà che anche Jungle Cruise è, come detto, arrivato dai parchi Disney, sarà che anche qui si parla di miti e di leggende, che il film riesce con semplicità e immediatezza (visiva e narrativa) a intrattener.e un pubblico davvero trasversale. Non solo, grazie ad una notevole dose di spettacolarità, fa tornare alla ribalta quel cinema d’avventura vecchio stile, nel quale scenari esotici e sfide impossibili sono le uniche due regole da seguire ed enfatizzare.

Ecco quindi che mentre vediamo Dwayne Johnson ed Emily Blunt risalire il Rio delle Amazzoni – tra baruffe scanzonate e mansueti giaguari – ci tornano alla mente Il Tesoro della Sierra Madre di Jack Huston e, soprattutto, un cult come All’Inseguimento della Pietra Verde di Robert Zemeckis. Il merito, in questo caso, va anche allo stile del film, pervaso da una tonalità seppia che ricrea perfettamente le sfumature dell’Amazzonia incontaminata dei primi del Novecento. E poi, senza dubbio, il messaggio finale tipicamente (e giustamente) disneyano, che sottolinea ancora una volta quanto la fatidica unione fa davvero la forza. A guardare con attenzione, l’Albero della Vita, in questo caso, non è la meta definitiva, bensì l’inizio di un nuovo viaggio e di una nuova consapevolezza, raggiunta proprio grazie alla condivisione tra gli incredibili protagonisti di "Jungle Cruise", capaci di farci ridere e sognare. Non è poco.

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