Il rifugio di “Claudio della Grigna“

Il Cai dedica a Ghezzi la casa tra le rocce: "In inverno erano le sue impronte sulla neve a guidare tutti"

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di Federico Magni

La Grigna era diventata la sua casa. Era salito in vetta quasi seimila volte e per gli affezionati frequentatori della cima simbolo delle Prealpi lecchesi quella di Claudio Ghezzi era una presenza rassicurante. Una certezza: sapevi di trovarlo lassù con qualsiasi tempo. L’alpinista che viveva a Missaglia era il guardiano di quella montagna e se qualcuno, magari d’inverno, con i pendii carichi di neve, aveva qualche incertezza, bastava seguire la sua traccia per essere sicuri di raggiungere il rifugio Brioschi. Ma la montagna che regala gioie e soddisfazioni, sa anche essere crudele. Domenica 12 giugno 2022 era una giornata limpida. Dalla cima di 2.400 metri si poteva godere del panorama della Pianura Padana e dell’Arco alpino. Ghezzi era salito presto al rifugio Brioschi per dare una mano ad Alex, il gestore, ma poi era sceso per andare incontro a degli amici che percorrevano la ferrata dei Carbonari. Su quelle rocce che conosceva più di chiunque altro all’improvviso ha perso la presa ed è precipitato per una ventina di metri. Sembra impossibile che sia capitato proprio a lui, ma non c’è stato nulla da fare. La sua scomparsa ha gettato nello sconforto tanti amici, centinaia di persone che negli anni l’avevano incrociato sui sentieri della Grigna. Aveva 69 anni, viveva a Missaglia e anche il suo nome ormai era diventato quello della montagna sulla quale era salito quasi seimila volte. “Claudio della Grigna“, così lo chiamavano in tanti. Voleva festeggiare il traguardo delle seimila salite in occasione del suo compleanno il 4 luglio.

Dopo quella maledetta caduta il suo ricordo sarà per sempre legato a quella montagna e al rifugio in vetta dove la sua era una presenza costante, con quella stretta di mano decisa con la quale accoglieva tutti e oggi chi sale al Brioschi troverà sempre il suo nome e la sua immagine.

I soci e i vertici del Cai di Milano, a cui appartiene il rifugio costruito tra il 1895 e il 1896 e il capanat Alex Torricini, il gestore del rifugio, che di lui si fidava ciecamente e per cui era una presenza preziosa, infatti hanno deciso di dedicare quella casa abbarbicata sulle rocce anche a “Claudio della Grigna“. "Dopo una vita di salite sulle montagne di tutto il mondo, Sud America, Himalaya, Cina, Tibet, Claudio aveva trovato nella Grigna Settentrionale, il Grignone, la “sua” montagna del cuore - lo ricordano –. Una presenza discreta ma costante al rifugio Brioschi. Saliva lassù tutti i giorni, con qualsiasi condizione meteo. Per gli alpinisti ed escursionisti che raggiungevano il rifugio era una certezza rassicurante, anche perché in inverno erano le sue impronte sulla neve a guidare i passi chi si apprestava a salire in vetta. E lassù c’era lui pronto a servire una bevanda a chi la chiedesse, anche a rifugio chiuso, perché lui aveva le chiavi. La sua montagna lo ha definitivamente abbracciato in una tragica domenica di giugno".

Ghezzi aveva coltivato la sua grande passione per la montagna sulle cime di tutto il mondo. Aveva scalato in Himalaya, Karakorum, le Ande, il Pamir. L’Illimani in Bolivia, poi il Pakistan, il Nepal, Kirghizstan, Kazakistan, Uzbekistan. Il Peak Lenin. Ma dopo tanti viaggi ritornava sempre lì. Sulla Grigna. Non solo una fissazione. "Quella montagna è nel mio cuore - raccontava Claudio - Anche perché dopo la morte di Giacomo (Scaccabarozzi, amico vittima di un incidente con il parapendio), mi è successo qualcosa. Vederlo lì sotto il rifugio mi ha cambiato. Tutte le volte che scendo dal “costone“ passo sempre a dare un occhio nel punto in cui l’abbiamo trovato. C’è una croce che smonto durante l’inverno perché altrimenti le valanghe se la portano via - raccontava - E poi il Butch (Marco Anghileri)... non dovevamo nemmeno metterci d’accordo, ci trovavamo e basta... ecco queste cose che sono successe hanno contribuito a rinsaldare ancora di più il mio legame con la Grigna".