Il dramma dell’Italia. Ma la speranza resiste

«Ci slaveremo», scrive Ferruccio de Bortoli, nelle pagine lucide e appassionate di “appunti per una riscossa civica”

Milano, 2 giugno 2019 - «Ci slaveremo», scrive Ferruccio de Bortoli, nelle pagine lucide e appassionate di “appunti per una riscossa civica”, Garzanti. È un atto di fiducia in virtù diffuse tra gli italiani, dal genio alle qualità d’un volontariato generoso, dall’intraprendenza che fa crescere le nostre imprese alle capacità di umanisti e scienziati. In virtù civili che fanno da contrappeso a una antica e pur sempre presente tendenza al particolarismo, all’illegalità, all’evasione fiscale, alle piccole e grandi furbizie che avviliscono la nostra vita comune. Purtroppo, «il cattivo esempio paga». Eppure, nonostante il degrado di sentimenti e passioni, i nuovi volti del razzismo, la crescente rancorosa volgarità che invade anche il mondo politico, de Bortoli sostiene che c’è ancora spazio per valorizzare il senso di responsabilità come dovere civico, un’idea di cittadinanza come impegno civile per la collettività. Liberandosi «dalla paura» ed emarginando che ne fa leva di consenso, si possono fare emergere «le virtù nascoste di un Paese che può risorgere».

Il problema è che proprio i protagonisti della scena politica inseguono quasi esclusivamente il consenso, al seguito degli ondeggiamenti e delle emozioni istantanee dell’opinione pubblica, invece di insistere su progetti, speranze fondate, strategie per un migliore futuro. Anzi, peggio, ne alimentano le pulsioni più negative, con slogan demagogici e fake news. Lo racconta bene Nando Pagnoncelli, presidente di Ipsos, la più autorevole società di ricerche, in “La penisola che non c’è”, Mondadori. Nella libro, ben costruito e incisivo, Pagnoncelli mette in guardia dai rischi della “sondocrazia”, dall’uso distorto dei sondaggi non come strumento di conoscenza, ma come “oracolo”, forzando un’opinione fragile, emotiva, viziata da una “dieta mediatica” quasi tutta segnata dalla Tv e da un’informazione dei social quanto mai approssimativa. Il risultato è una percezione dell’Italia lontana dalla realtà: pensiamo che gli immigrati siano il 30% della popolazione (sono solo il 7%), ci sentiamo più poveri, fragili, insicuri, minacciati di quanto invece dimostrano dati e fatti. In Europa siamo campioni della «distorsione percettiva» ovvero «dell’indice di ignoranza». E lì albergano le paure e i risentimenti. Se ne esce? Pagnoncelli ha fiducia nelle nuove generazioni, che, lavorando su conoscenza e buona informazione, possono ribaltare quest’allarmante deriva democratica. Ci tocca anche fare i conti con “L’illusione del cambiamento”, per dirla con il titolo del libro di Alessandro Aleotti, Bocconi Editore. Le mutazioni derivanti «dall’egemonia della tecnica», dal tramonto dello Stato-nazione, «dalla pervasività della mediatizzazione» e dall’esplosione della mobilità hanno bisogno di nuove categorie interpretative, come i paradigmi della civilization. E di ragionamenti, fuor di retorica, sulle nuove dimensioni del lavoro in epoca digitale.