Gianni Brera spiegato dal calciatore José Altafini: “Era il Pelé dei giornalisti”

Il centravanti brasiliano ha 84 anni e nel frattempo è diventato giornalista pure lui: “Brera era amato ma contestato: nessuno voleva un pagellino basso”

Gianni Brera (a sinistra) e José Altafini
Gianni Brera (a sinistra) e José Altafini

C'è chi di Gianni Brera ha ricordi diretti, personali, per averne goduto non solo da lettore ma da «compagno di scrittura». Un calciatore straniero, che ha vestito anche la maglia azzurra e si è trovato talmente bene in Italia da fermarsi qui a vivere. José Altafini oggi ha 84 anni. Per anni è stato decantato nelle sue cronache da Brera, poi è diventato giornalista lui stesso introducendo un modello tutto suo di commentatore tecnico, più «brasiliano» e meno asciutto. Una versione della seconda voce, accanto al telecronista principale, che ha fatto storia.

Che ricordo ha di Gianni Brera?

«Era il Pelè dei giornalisti. Per me Pelè era il migliore di tutti e Pelé era così. Brera era amato ma anche contestato dai giocatori, perché poi nessuno voleva avere un voto basso. A me non fregava niente, anche se mi davano 4 o 10. A volte non lo meritavo, né l'uno né l'altro».

Quindi non le è mai capitato di arrabbiarsi per una brutta pagella?

«È capitato a un mio compagno proprio con Brera, si erano anche scontrati verbalmente in aeroporto. Molti si arrabbiavano per i voti».

Lei ha anche scritto un libro con Brera.

«Nel 1959, io spiegavo grazie a lui come si gioca a calcio, come si colpisce il pallone. C'era il mio volto in copertina. Un bel ricordo».

Avete avuto modo di lavorare nuovamente assieme?

«Lavorare no, ma ci siamo incontrati. Io sono uno che riconosce se c'è davanti il migliore del mondo. Mi capita anche da brasiliano nel commentare l'Argentina, quando vedo Messi. Brera allo stesso modo, poteva scrivere e criticarti. Una volta mi ha anche chiamato “Cavallo pazzo”. Ci ho riso su...».

Il fatto di aver intrapreso la carriera giornalistica è dovuto anche al rapporto con Brera?

«Quello in realtà è stato un caso. Ho cominciato a commentare una partita, il mio idolo era Beppe Viola, altro grande giornalista. Dico la verità: con diversi cronisti sono stato molto amico. Li conoscevo. Tutti personaggi straordinari, molti di quelli italiani li avevo conosciuti in Svezia ai Mondiali del ‘58». Non Brera, lui l'ho incontrato in Italia».

Cosa ha lasciato Brera alla cultura e al calcio italiano?

«Purtroppo i telecronisti di oggi non sembrano aver preso molto da lui. Aveva grande fantasia, inventava i nomi per i giocatori. Io nel mio piccolo, quando ero commentatore provavo a fare la stessa cosa. Dicevo “Manuale del calcio” o “Dove gioca Baggio nascono i fiori”».

I telecronisti di oggi le piacciono?

«In Brasile fare il telecronista di calcio è un divertimento. Noto che oggi spesso dicono che un giocatore ha sbagliato ma non perché. Mi dà fastidio anche sentire quando dicono che un calciatore non sa giocare. Un giocatore può sbagliare una domenica. Io dicevo che semplicemente non era giornata. Spesso se sento una telecronaca abbasso il volume... Però ci sono seconde voci molto brave».