
I carabinieri durante i rilievi in via Marx lo scorso giugno
Sesto San Giovanni (Milano), 8 gennaio 2018 - «Per niente ha ammazzato un cristiano e ha rischiato di ucciderne anche un altro. Solo perché mi aveva detto di non tenere le braccia incrociate dietro la schiena che lo fanno solo i carabinieri e io gli avevo risposto male». Pierluigi D., 38 anni, di Cologno Monzese, è uno dei feriti nella rissa per futili motivi che lo scorso giugno ha causato la morte di Federico Megna, il 48enne accoltellato all’addome, così come il fratello maggiore di Pierluigi, Massimo, 41 anni, che invece se l’è cavata. Mentre il 38enne era stato raggiunto da un fendente alla schiena e uno alla coscia.
Ad aggredirli davanti ad un bar in via Marx a Sesto San Giovanni, secondo l’accusa, Calogero Diana, il 58enne titolare di una ditta di autodemolizioni a Sesto San Giovanni, che ora è imputato di omicidio volontario e lesioni personali aggravati nel processo iniziato davanti alla Corte di Assise di Monza. Al dibattimento si sono costituiti parte civile i due fratelli di Federico Megna. Invece, i due fratelli feriti (che dovranno rispondere di rissa in un altro processo) non si sono costituiti parti civili, ma sono stati chiamati a testimoniare dal pm monzese Alessandro Pepè titolare delle indagini. «Megna aveva saputo cosa era successo con Diana e aveva detto che lo conosceva e gli avrebbe parlato - hanno raccontato i fratelli - Invece si sono spintonati e Diana ha tirato fuori dal marsupio un coltello e ha colpito prima lui e poi noi che siamo intervenuti per dividerli. Diana dice che l’abbiamo picchiato in tre, ma non è vero, non ha neanche un segno. E non è vero che era nostro il coltello». Per il pm si tratta di un omicidio maturato «in un ambiente da sottoproletariato urbano» e «per motivi inconsistenti». Secondo l’avvocato Angelo Pagliarello, che difende l’imputato, si è invece trattato di legittima difesa dopo che Calogero Diana «è stato tirato in mezzo ad una lite che voleva evitare». Il processo continua il 4 marzo.