Bollate, lo sfogo: "Coronavirus? Hanno pensato ai detenuti, non alle guardie carcerarie"

Gianluca Caruso, ispettore capo a Bollate, guarito dal Covid-9 scrive una lettera al premier Conte

Gianluca Caruso ha accusato i primi sintomi il 12 marzo, adesso risulta negativo

Gianluca Caruso ha accusato i primi sintomi il 12 marzo, adesso risulta negativo

Bollate (Milano), 7 aprie 2020 - «Caro Presidente il diritto alla salute, principio fondamentale della nostra Costituzione, per me servitore dello Stato che fine ha fatto? Siamo i primi a tutelare l’incolumità dei detenuti, è un nostro dovere istituzionale, ma è altrettanto un dovere istituzionale tutelare noi, bistrattati e spesso dimenticati dalle istituzioni. Io sono guarito, ho fatto due tamponi con esito negativo e ora attendo il risultato del terzo. Ma chiedo che tutti gli agenti di polizia penitenziaria, vengano sottoposti a tamponi periodici, a tutela della loro salute e di quella delle loro famiglie". E’ lo sfogo-appello di Gianluca Caruso, Ispettore capo del corpo di polizia penitenziaria presso la Centrale Operativa del carcere di Milano Bollate, malato di Covid 19. La scorsa settimana ha raccontato la sua odissea in una lettera inviata tramite Pec al Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte e al Capo del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria.

«Ho avuto i primi sintomi il 12 marzo scorso, febbre alta che sfiorava i 40, dolori atroci alle spalle, respiro affannoso e notti insonni. Ho chiamato l’infermeria dell’istituto chiedendo di essere visitato nella caserma dove sono alloggiato, la risposta è stata che il medico del carcere ha competenza sui detenuti e non sulla polizia. Per fortuna un mio collega mi ha procurato del paracetamolo e me lo ha consegnato in camera. Poi ho cercato di contattare il servizio di guardia medica di Milano, senza alcuna risposta. Il mio medico di base sta a 850 km di distanza perché io sono residente in provincia di Benevento e mi ha detto di contattare i numeri verdi di Regione Lombardia".

Passano due giorni, Gianluca tiene sotto controllo la febbre con la Tachipirina e viene a sapere che altri colleghi del suo ufficio hanno gli stessi sintomi. Il 14 marzo l’agente di polizia penitenziaria riferisce al numero verde della Regione i sintomi e dispongono l’isolamento domiciliare presso la caserma dell’istituto. "Il 15 marzo, finalmente sono venuti in camera per controllarmi, lo stesso il giorno dopo, mentre il 17 marzo invece insieme ad altri due colleghi ci hanno trasferito in un’ala della caserma adibita ad isolamento, ma in realtà non lo è, in quanto sullo stesso piano ci sono altri colleghi non malati che vi alloggiano, e finalmente ci fanno il tampone nasale". Positivo al Covid-19 obbligo di 14 giorni di isolamento, ma intanto nell’ufficio dove lavora Gianluca si registrano altri casi di colleghi malati, di cui due in condizioni critiche.

Cosa non ha funzionato? "Il problema è stata la mancanza di protocolli condivise e limitazioni logistiche, non è colpa della direzione del carcere, ma del Dipartimento che ha pensato solo ai detenuti, e così moltissimi poliziotti penitenziari oggi sono positivi al virus".