Pavia, Gomorra Lomellina: rispunta il 30enne col fucile

Per la Corte le intercettazioni dimostrano la consapevolezza dell’imputato relativa all’arma

Il palazzo di giustizia di Pavia

Il palazzo di giustizia di Pavia

Pavia - La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un 30enne lomellino condannato in primo e secondo grado a 8 mesi di reclusione e 1.200 euro di multa, pena sospesa, per aver portato in un luogo pubblico un fucile a pompa marca Winchester. La decisione è di marzo, ma è stata resa pubblica insieme alle motivazioni giovedì.

L’imputato era già stato coinvolto in precedenza nell’ambito della maxi inchiesta sulla cosiddetta Gomorra Lomellina, presunta organizzazione criminale sgominata nel corso di diverse indagini a partire dal 2016, quando si era svolta la prima operazione dei carabinieri denominata Cave Canem che aveva portato all’arresto di 24 persone: gli sviluppi successivi avevano poi condotto a indagare ulteriori soggetti. Il gruppo era dedito – secondo le accuse – al traffico di armi, droga e a reati come estorsioni e danneggiamenti.

Dalle indagini erano poi scaturiti filoni giudiziari differenti, che hanno portato negli anni a diversi processi. Il caso del 30enne trattato dalla Cassazione aveva inizialmente preso il via da un’intercettazione ambientale raccolta da un dispositivo posizionato sull’auto di un altro indagato nel luglio 2014. Le captazioni avevano portato ad accusarlo della presenza illecita del fucile in un luogo pubblico. Il lomellino era stato inizialmente condannato dal Tribunale di Pavia il 7 ottobre 2019, in seguito la Corte d’Appello di Milano il 25 ottobre 2021 aveva confermato la decisione di primo grado. Poi l’imputato aveva presentato ricorso alla Cassazione.

Per gli Ermellini, si legge nelle motivazioni, "la responsabilità dell’imputato è stata affermata a partire da alcune captazioni ambientali da cui era emerso che tre conversanti", tra i quali lui, "mentre si spostavano in auto discutevano di un’arma, riconducibile a un fucile a pompa, di cui avevano in quel momento il possesso e che stavano portando in un nascondiglio". Proprio la conversazione aveva portato gli inquirenti a individuare il covo e a sequestrare le armi. Per la Cassazione, "il tenore della conversazione è stato ritenuto indicativo della piena consapevolezza" dell’imputato "del trasporto dell’arma a bordo della vettura". La Corte ha condannato il ricorrente a pagare le spese processuali e a versare 3mila euro alla Cassa delle Ammende.