"Quel 20 febbraio alle prese con un virus sconosciuto": il racconto del medico lodigiano

Stefano Paglia, responsabile del pronto soccorso di Lodi e Codogno, ripercorre attimo dopo attimo i primi momenti della lotta al Covid

Il dottor Stefano Paglia nel picco della pandemia

Il dottor Stefano Paglia nel picco della pandemia

Lodi, 18 febbraio 2021 - A un anno dalla scoperta del 'paziente 1', il direttore del pronto soccorso di Lodi e Codogno Stefano Paglia si rivolge ai colleghi definendoli “fratelli”. Un segno di gratitudine per la resilienza dimostrata, nel ricordo di un anno infernale. "Alle 21.14 del 20 febbraio 2020 vengo richiamato in servizio in direzione generale insieme ai capi dipartimento e al direttore generale, direttore sanitario, direttore sociosanitario e direzione medica e primario di malattie infettive della Asst di Lodi, viene costituito il comitato di crisi aziendale e viene comunicata la positività del test per Covid-19” ricorda.

L'esito del test e il comitato di crisi 

Il primo caso accertato in Italia è stato scoperto dalla geniale intuizione di una rianimatrice, Annalisa Malara, che a fronte di un grave e inspiegabile caso di polmonite rapidamente evoluta in Sindrome da distress respiratorio acuto, forza il protocollo nazionale e si fa autorizzare dalla direzione aziendale un test per coronavirus sulla base di un contatto indiretto con persone asintomatiche rientrate dalla Cina (successivamente risultate negative al tampone). "Da lì è iniziato tutto. Mentre il comitato di crisi si è messo subito in contatto con il comitato di crisi regionale di Regione Lombardia e con il comitato di crisi della Prefettura, il primo paziente diagnosticato era già stato intubato in terapia intensiva e non era spostabile perché in condizioni critiche. Intanto il personale del pronto soccorso di Codogno ha iniziato ad indossare i dispositivi di protezione previsti in caso di sospetto coronavirus".

"In quel momento a Codogno è presente e ancora in servizio il turno del pomeriggio, che si è fermato quando è stata resa nota la notizia del primo riscontro: in totale due medici, il notturno e il pomeridiano, ott infermieri, i cinque del pomeriggio e i tre della notte, tre Oss Insieme a loro 15 pazienti, oltre agli accompagnatori e tra questi cinque con polmoniti, oltre a un paziente con insufficienza respiratoria in Niv e dubbia sepsi (disfunzione d'organo pericolosa per la vita)” dettaglia il medico.

Le prime disposizioni e il paziente 2

Viene deciso dal comitato di crisi regionale di evacuare il pronto soccorso di Codogno e isolare l’ospedale. Areu mette a disposizione dieci mezzi sanitari e invia a Codogno il coordinatore locale per le Maxiemergenze. "Io ho raggiunto il pronto soccorso di Codogno dove abbiamo applicato da subito triage out per tutti i nuovi accessi non sospetti, completato le valutazioni dei pazienti con altra causa e iniziato il trasferimento dei pazienti presenti in pronto soccorso, con patologia respiratoria o necessitanti ricovero, per altro motivo” continua nel racconto il medico. Qui c’era anche il 'paziente 2': "Tra i cinque pazienti con polmonite uno era giovane, di Castiglione, sospetto, ma non conosceva e non aveva frequentato il primo caso - spiega -. Informo i colleghi responsabili Enrico Storti che, da quel momento insieme a Pietro Bisagni, non mollano un minuto il comitato di crisi nel suo complesso. Il dirigente si è trasferito in ospedale, io mi sono messo in servizio permanente in Pronto soccorso. Presto sono state istituite le prime zone rosse e sono arrivati a Codogno esperti dell’ospedale milanese Sacco, un infettivologo e un rianimatore. Abbiamo valutato insieme il secondo sospetto, il quadro sindromico era chiaro ed eseguito il tampone, è stato preso in consegna da loro e insieme agli altri, portato all’ospedale Sacco” spiega ancora Paglia Il tampone aveva una priorità assoluta, poteva essere il caso 2.

"Abbiamo deciso di far partire i tamponi per tutti i pazienti provenienti da Castiglione, indipendentemente dai sintomi, sia a Lodi che a Codogno (erano circa le 3). Abbiamo completato l’evacuazione destinando i pazienti su Lodi, stratificando il rischio e dopo aver fatto i tamponi a tutti e deciso di trattenere in Pronto soccorso a Codogno solo il sospetto caso 2, maschio di 40 anni e una giovane con sospetta Tbc già in isolamento dal giorno prima, paradossalmente l’unica paziente al sicuro in quel momento. Il pronto soccorso di Codogno è stato chiuso, noi dentro in attesa. La situazione a Lodi è ancora normale, per la stagione”.

La mattina del 21 febbraio: scoppia il caso Codogno

Il laboratorio del Sacco è stato da subito sommerso di campioni di pazienti ricoverati e di operatori sanitari asintomatici per contatto, i tempi di risposta si sono allungati presto: "In mattinata abbiamo avuto la conferma i casi confermati e sintomatici erano due, dello stesso paese. Intubato anche il secondo caso, è stato ricoverato in terapia a Codogno insieme al primo. Il direttore sanitario di Codogno ha avvisato il comitato di Crisi e il Prefetto. Io e una infermiera, Lara Villa, che abbiamo sempre lavorato con i Dpi, ci siamo spostati su Lodi. Il resto del personale ha atteso nel pronto soccorso di Codogno e proseguito nella assistenza di una paziente trasferita dalla terapia intensiva. Gli infermieri del reparto di medicina di Codogno sono rimasti in reparto, insieme ai pazienti, per prestare assistenza e per più giorni. Pazienti e operatori di Codogno si sono chiusi dentro l’ospedale”.

Sono stati momenti durissimi. "Nel primo pomeriggio del 21 febbraio, non appena ci siamo in qualche maniera riorganizzati, appena allocate le scorte di materiale e le prime forniture di ossigeno, hanno iniziato a salire i pazienti respiratori e la sera, dopo una breve pausa, è arrivato il primo picco. L’impatto è stato forte ma abbiamo tenuto".

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