Una gita al centro islamico per imparare a conoscersi

I bambini delle elementari Masih hanno fatto visita in via Ghilini incontrando anche l’imam. A Cederna e San Rocco numerose. le classi a maggioranza straniera

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di Cristina Bertolini

Un viaggio alla scoperta delle loro radici per i ragazzi che vengono da lontano e un viaggio in una cultura sconosciuta e molto altro per gli italiani. Così è stato l’incontro dei bambini delle classi seconde della scuola primaria Masih (istituto comprensivo Anzani) che nei giorni scorsi hanno fatto visita al Centro islamico di via Ghilini, incontrando la vice direttrice Tayhni, l’imam e il vice direttore.

Tutto si è mosso grazie alla sensibilità e intuizione della maestra Katiuscia Melato, insegnante di italiano per stranieri della scuola. Con Tayhni ha immaginato di far toccare con mano l’integrazione ai ragazzi di una scuola che ha una percentuale maggioritaria di alunni stranieri, provenienti sia da Maghreb, da medio ed estremo oriente, ma anche sud America. Un vero e proprio laboratorio multiculturale, tanto quanto le scuole dell’Istituto Koiné di San Rocco, all’altro capo della città.

Come racconta Katiuscia, un giovane mediatore del centro ha accolto i ragazzi, chiedendo loro di togliersi le scarpe per accedere al luogo di preghiera coperto di tappeti. I bambini erano curiosi e affascinati. Quelli che in famiglia praticano il culto hanno chiesto se dovessero dividersi in maschi e femmine, ma non è stato necesario. È stato proposto loro un video sulle più grandi moschee del mondo, accompagnato da musica araba. Per i bambini italiani è stato un viaggio nel tempo alla scoperta di antichi riti e tradizioni sconosciute, tra cui non poteva mancare quello del tè con i dolci a base di miele e pasta di mandorle. L’imam ha raccontato la storia di Maometto e poi ha colto l’occasione per parlare della figura di Gesù, considerato un grande profeta. Il centro si fa interprete solidale anche delle necessità delle famiglie bisognose della città, di qualsiasi origine ed etnia. Tema dell’incontro, trovare i tanti elementi in comune tra cultura araba e occidentale: "La scuola può fare molto per l’integrazione, promuovendo le buone prassi di accoglienza e inclusione, per creare una vera comunità educante integrata". L’obiettivo di più lungo periodo è che i quartieri di periferia non siano di serie B, ma diventino propulsori di integrazione per l’intera città. Sono una quindicina i ragazzi stranieri che usufruiscono del laboratorio di italiano. Sono curiosi, guardano, ascoltano e registrano tutto: "Sono vere spugne di apprendimento", dice la maestra. Si avvicina Amin, 11 anni: "Io so l’italiano. Ho imparato bene e aiuto il mio amico di quinta che è appena arrivato e non è ancora capace di parlare". È orgoglioso, sente di aver acquisito una competenza importante che gli garantisce un ruolo chiave all’interno della comunità scolastica. "Il nostro obiettivo – spiega Katiuscia – è di arrivare a inserire i bambini neo arrivati nelle classi corrispondenti all’età, per far conoscere loro i coetanei e non creare scompensi emotivi, inserendoli fra i più piccoli, ma promuovendo già le future relazioni nel gruppo dei pari che proseguono poi anche fuori da scuola".