Monza, rapine e violenze come nel vidoegame: "Mio figlio non esce più per paura"

Il branco aveva terrorizzato i ragazzi. Il sospetto è che le “imprese” della Compagnia del Centro siano in realtà molte più di quelle ricostruite dalla polizia

Il tatuaggio sulle mani dei componenti della gang

Il tatuaggio sulle mani dei componenti della gang

Monza, 18 aprile 2019 -  «Vengo io fare la denuncia, mio figlio no... non esce più di casa da tre mesi». Le parole di un padre alla polizia che stava indagando (con fatica) apre uno spaccato sul clima di terrore, umiliazione e assoggettamento che da qualche tempo si era venuto a creare nelle strade del centro. Perché era qui, fra il ponte dei Leoni e via Longhi, fra piazza Trento e Trieste e via Italia che si era venuto a instaurare il regno della cosiddetta - dalle vittime e dagli stessi carnefici - Compagnia del Centro. O Compagnia del Ponte. Gli agenti della squadra investigativa tenevano monitorato da anni il fenomeno, da quando avevano iniziato a mettere in fila le miriadi di episodi di microcriminalità, piccoli furti, rapine, pestaggi che si registravano nel cuore di Monza. Spesso in pieno giorno. Per ricostruire tutto, è servito tempo. A partire dallo scorso ottobre, quando ai giardini del Nei è stato rapinato un ragazzo e si è registrata forse per la prima volta la tattica utilizzata dal gruppo: prima uno partiva in avanzascoperta, adocchiava la potenziale vittima meglio se sola e inerme, sceglieva l’obiettivo (in quel caso un vistoso orologio), quindi l’intera gang sbucava, la circondava e la massacrava a calci e pugni.

Così faceva. Sempre. In una escalation che, come in un videogioco, sembrava alzare sempre un po’ di più l’asticella, come ad acquisire punti e un nuovo livello di gioco. Il gruppo pare si ispirasse molto a G.T.A., Grand Theft Auto, videogioco particolarmente violento in cui si impersonano gangester e si commetttono furti e rapine.

Basta leggere un frammento dei dialoghi fra due dei ragazzi: “Nooo, gioco all’X-box ma che xxx non sono uno da X-box io, lo sai, xxx, le facevo in giro le cose... Sulla play xxx m’annoiano”. E poi, Interlocutore 1: “Militare o gangster?”. Interlocutore 2: “Gangster”. Interlocutore 1: “G.T.A. Quello che sto giocando io ora”. Interlocutore 2: “ ...eeeh quello mi piace!!”; Interlocutore 1: “e vabè quello lì tu rubi, fai le rapine, rubi le macchine...”. Interlocutore 2: “...bravo questo! … eeeeh vabè che xxx farlo sulla play, xxx oooh... mi viene voglia di prendere uscire e farle... capito?”. Interlocutore 1: “Che xx di gioco fare sto gioco...”. Sin troppo chiari gli ordini intimati alle vittime: «Questo è il nostro territorio. Ora stai qui e non ti muovi finché non te lo dico io».

A un senzatetto era stata strappata la bicicletta: «Dammi la bici o ti accoltello!». Ed era stato malmenato quando il giorno dopo aveva chiesto di rientrarne in possesso. Il sospetto è che le “imprese” della Compagnia del Centro siano in realtà molte più delle 10 rapine effettivamente ricostruite dalla polizia. Lo ha detto anche il procuratore capo di Monza, Luisa Zanetti: «Sappiamo che le rapine sono di più, per questo rivolgiamo un appello a chi le ha subite perché superi la paura e denunci. La loro violenza, che non ha altra ragione se non il soddisfacimento della sete stessa di violenza, può e va fermata con le denunce. Le vittime devono trovare il coraggio di farsi avanti o la situazione peggiorerà. Il loro obiettivo era umiliare e spaventare, tanto che alcuni giovani non vogliono più frequentare il centro città». Il Gip di Monza, nella sua ordinanza, li ha definiti «giovani che si riuniscono al solo scopo di delinquere, diffondendo grave timore nel territorio tra giovanissimi, cittadini, e clochard».

Ancora più di un punto interrogativo nella ricostruzione della natura del gruppo: un branco senza gerarchie precise, di cui facevano parte anche diversi minorenni e che traeva ispirazione da un mix di cattivi modelli forniti da musica trap (uno dei ragazzi ha il volto interamente coperto di tatuaggi, proprio come alcuni trapper), film, videogiochi. Il peruviano vestiva sempre di rosso come i Latin Kings, pur non facendone parte.