Monza, il prete è troppo moderno? Il liceo lo caccia

L’incredibile episodio accadde nel 1968 al lo scientifico Frisi e suscitò manifestazioni studentesche e una bufera giunta sino in Parlamento

Una manifestazione del '68

Una manifestazione del '68

Monza, 19 gennaio 2020 - E' il 1968. In Italia e nel mondo è in corso una rivoluzione, politica e culturale. L’autorità costituita viene contestata radicalmente. Persino la religione vive un momento di sconquasso generale. E al liceo scientifico Frisi di Monza, in questo clima ribollente, va in scena un caso destinato a destare scalpore e ad arrivare fino a Roma, in Parlamento. Protagonista, un sacerdote: si chiama padre Luigi “Gino” Brambilla, ed è un missionario comboniano a cui viene affidato l’insegnamento della religione in diverse classi dell’istituto. Qualcosa però non va come previsto. Il sacerdote ha metodi considerati troppo moderni, “troppo democratici”.

E con i suoi studenti instaura un dialogo molto aperto. In anni in cui lo stesso insegnamento della religione cattolica comincia a essere contestato o mal digerito, propone metodi nuovi. Democratici, appunto. Accade così che insieme alle lezioni più tradizionali e all’analisi delle Sacre Scritture, don Gino Brambilla accetta anche di affrontare con i propri studenti temi da loro stessi suggeriti e che vanno a toccare alcuni degli argomenti che più interessano le loro giovani menti. Nelle classi del liceo scientifico gli studenti, divisi in piccoli gruppi di lavoro costituiti da quattro o cinque ragazzi per volta, hanno la facoltà di discutere e approfondire temi come il sesso, la pillola anticoncezionale, il divorzio, i rapporti prematrimoniali, la prostituzione. La voce di cosa succeda in quelle classi trapela abbastanza in fretta, viene raccolta anche da un giornalista (che pure non pubblica nulla sul proprio giornale) ma soprattutto raggiunge gli uffici della presidenza. E si arriva così a una decisione destinata a sconvolgere la vita della scuola.

La preside del liceo, la professoressa Angela Maria Amirante, probabilmente spaventata dalla possibilità che il caso delle strane rivoluzionarie lezioni di quel prete troppo moderno possano gettare discredito sul “buon nome” del liceo, decide di licenziare in tronco il sacerdote. Ne sortisce un’autentica bufera. Parecchi studenti scendono in piazza in difesa del professore cacciato, al loro fianco anche i compagni di altri istituti della città. Il caso arriva anche in Consiglio comunale a Monza, dove vengono presentati ben quattro diversi ordini del giorno, a firma rispettivamente di Democrazia Cristiana, Partito Socialista, Partito Liberale e Partito Comunista-Psiup. In Parlamento, un’interrogazione al Ministero dell’Istruzione viene presentata dall’onorevole socialista Michele Achilli. La preside si trincera dietro il verbale del consiglio di presidenza nel quale è stata ratificata la decisione di allontanare padre Brambilla.

Datato 21 novembre, il verbale fa riferimento a presunte “gravissime carenze didattico-metodologiche” del sacerdote: "Il professore in questione, dopo aver tentato di concordare con gli alunni un ambizioso piano di lavoro, non ha dimostrato, come risulta dalle relazioni degli alunni, dallo stesso professore prodotte, di saperli guidare a realizzare democraticamente, come era nelle intenzioni, la discussione in programma. Dall’esame delle relazioni risulta che queste “discussioni” si risolvevano in pratica in interventi disordinati ed improvvisati, spesso slegati tra loro, sempre inconcludenti, assolutamente negativi sul piano didattico". La scelta della dirigente va di conseguenza. "La preside - prosegue il documento - fa carico al professore di aver sollecitato e almeno aver lasciato proporre dagli alunni e programmato problemi per i quali non esiste ovviamente preclusione pregiudiziale, quali il sesso, la pillola, la prostituzione, il divorzio, i rapporti tra ragazzi e ragazze: senza un preventivo programma concordato con la presidenza; senza possedere la necessaria competenza a dirigere dibattiti tanto impegnativi; in una forma assolutamente velleitaria e dilettantistica che non serve a chiarire i problemi e può creare soprattutto nelle classi prime (ragazzi e ragazze di 14 anni) motivi di turbamento; si lamentano un’inadempienza sistematica e deliberata delle disposizioni concernenti il normale e funzionale svolgimento dell’attività scolastica, la mancata compilazione dei registri personali e la mancata con segna del programma scolastico".

Carta canta. E alla fine non cambierà nulla. Dopo la tempesta, il caso infatti piano piano si sgonfia, la Diocesi ovviamente lascia correre e la vita riprende regolarmente. Anche al liceo.