Matteo Barattieri morto a Nashville, anche il padre ucciso da un automobilista

Il ricordo del fratello Davide: "Odiava le macchine perché inquinano, ma anche perché papà fu centrato da un veicolo il cui conducente era drogato e morì dopo un mese di coma"

Matteo Barattieri al concerto dei Blondie

Matteo Barattieri al concerto dei Blondie

Monza - “Matteo era un idealista, sin da bambino, mi portava a fare lunghe passeggiate, era un appassionato della natura, di minerali, animali, piante... Ma in quella morte tragica e assurda c’è dentro tutto Matteo”.

Davide Barattieri, cinque anni in meno di Matteo, ricorda con un groppo in gola e ricostruisce i tragici avvenimenti che hanno portato via suo fratello. Falciato a 57 anni da un’auto pirata a Nashville, dove era andato a seguire i suoi artisti del cuore, i Blondie.

"In casa eravamo in cinque: mio fratello più grande, del 1960, poi Matteo del ’65, mia sorella del ‘66 e io del '70. Mio fratello non aveva mai voluto avere nulla a che fare con le macchine, le detestava perché inquinano e lui era abituato a muoversi per chilometri e chilometri a piedi o in bicicletta. Ma la verità era anche un’altra: e me l’ha confidata solo pochi anni fa. Matteo odiava le macchine e ne aveva paura perché nostro padre era morto così: vittima di un incidente automobilistico, con al volante dall’altra parte una persona sotto effetto di sostanze stupefacenti. Nostro padre rimase in coma per un mese prima di morire, quella morte ci ha segnato per tutta la vita”.

Cosa sia accaduto giovedì a Nashville non è ancora chiaro: “So solo che erano le 14.30, pieno giorno, mio fratello stava passeggiando, non so se andasse ancora all’Arena dove aveva suonato Debbie Harry coi Blondie o se stesse andando in hotel. So solo che un pirata lo ha falciato, c’è un testimone che ha descritto la macchina fuggita. Mio fratello è rimasto a terra, sul ciglio della strada”.

Prova tanta rabbia Davide. “Anche verso mio fratello: non doveva muoversi a piedi su quelle lunghe strade percorse da auto lanciate ad alta velocità. Ogni giorno solo a Nashville percorreva 15 chilometri a piedi, la stessa addetta della reception del suo albergo aveva strabuzzato gli occhi quando aveva saputo che si muoveva a piedi, lo aveva raccontato lui stesso... non c’è santo che tenga, non ne faccio ovviamente una colpa a Matteo, ma così non doveva andare”.

E adesso? "Ho sentito il consolato, lunedì partiranno le pratiche per rimpatriarlo, è competente il Consolato di Detroit". In Italia e anche in America hanno parlato di una raccolta fondi per aiutarvi a rimpatriare Matteo in Italia. Potrebbero volerci molti soldi. “Non lo so, sono in imbarazzo. Una cosa è chiara: qualora dovessero servirci, ringraziamo tutti coloro che vorranno contribuire. Con una certezza: tutto quanto dovesse avanzare verrà devoluto a qualcuna delle tante campagne per l’ambiente cui teneva mio fratello. Ad esempio per il Parco di Monza che tanto amava”.