Albanese murato, spunta un altro killer

Arrestato a Caltanisetta Salvatore Tambè, considerato dai giudici un affiliato della mafia. I carabinieri hanno smontato il suo alibi

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di Stefania Totaro

Per sfuggire alle indagini sull’omicidio dell’albanese strangolato a morte a Muggiò e poi murato in un pozzo artesiano a Senago, ha portato un alibi con cui dimostrava di avere lasciato il giorno del delitto il suo lavoro alla rivendita di ricambi per auto per recarsi all’ufficio postale. Ma per gli inquirenti gli orari non combaciano. I carabinieri dei Nuclei Investigativi di Monza e Caltanissetta hanno eseguito un sesto arresto per la morte di Astrit Lamaj, il 41enne di Genova scomparso nel gennaio 2013 e ritrovato sei anni dopo dentro un pozzo nel residence in ristrutturazione Villa degli Occhi a Senago.

I militari hanno notificato a Riesi, in provincia di Caltanissetta, un’ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico del 45enne Salvatore Tambè, già agli arresti domiciliari con l’accusa di avere fatto parte dell’associazione mafiosa Cosa Nostra del mandamento di Riesi. Ora è accusato di avere partecipato all’omicidio dell’albanese, vicenda per cui altre 5 persone sono già imputate e i processi sono in corso al Tribunale di Monza.

Le accuse contestate dal pm della Procura di Monza Rosario Ferracane sono a vario titolo omicidio volontario premeditato, soppressione di cadavere, droga, armi, furto e riciclaggio. A fare luce sul brutale assassinio le parole di Carmelo Arlotta, pregiudicato siciliano trapiantato per anni a Muggiò, che dal carcere ha deciso di collaborare con la giustizia, raccontando che l’albanese è stato attirato con la scusa di una compravendita di marijuana in un box a Muggiò, stordito con un colpo contundente e poi strangolato con un filo di nylon.

Secondo Carmelo Arlotta, è stata Carmela Sciacchitano, 64 anni, siciliana residente a Genova, la mandante dell’assassinio di Astrit Lamaj, colpevole di avere interrotto la relazione sentimentale durata un anno con la donna e di essersene andato prelevando dalla casa della ex gioielli per 100mila euro.

Carmelina, così la chiamavano gli amici, avrebbe chiesto l’autorizzazione dei reggenti mafiosi di Riesi, il suo paese d’origine in provincia di Caltanissetta, a reclutare i sicari siciliani per l’esecuzione. Per la Procura di Monza, Carmela Sciacchitano "quale mandante dell’omicidio, commissionava prima a Carmelo Arlotta e successivamente (per il diniego di quest’ultimo) a Giuseppe Cammarata (già al carcere duro per mafia, ndr) in cambio di denaro" l’omicidio dell’albanese, così organizzato: il fratello di Carmelo Arlotta, Angelo, "dopo avere concordato un appuntamento con la vittima il 14 gennaio 2013 a Cinisello Balsamo, lo conduceva il giorno seguente insieme al cugino Francesco Serio presso il box di Cammarata" dove "Cammarata colpiva al capo sorprendendolo alle spalle" l’albanese e "Carmelo Arlotta e Salvatore Tambè lo immobilizzavano a terra" e "Cammarata lo strangolava con un filo di nylon provocandone la morte".

Cinque invece gli imputati di soppressione di cadavere. Secondo la Procura, il corpo senza vita di Astrit Lamaj "venne caricato all’interno dell’auto di Cammarata" e i fratelli Arlotta e il cugino "dopo averlo temporaneamente occultato in un’abitazione in via XXV Aprile a Muggiò in uso a Francesco Serio, lo trasportavano all’interno di un box adiacente alla taverna del residence di Senago dove "mentre Serio insieme Mazzola facevano da “palo“" i due fratelli Arlotta "aprivano un varco nella taverna, confinante con un piccolo vano cieco, dove era dislocato un antico pozzo artesiano di circa 20 metri di profondità, spostavano il cadavere e lo gettavano all’interno del pozzo, coprendolo con calcinacci e altri materiali di risulta e poi richiudendo il varco".

Gli imputati sono poi accusati di furto per essersi impossessati della Golf dell’albanese, portata dal titolare di un’autodemolizioni di Desio, Ignazio Marrone, che ha patteggiato per riciclaggio per avere fatto sparire la vettura demolendola, dopo però avere smontato e rivenduto il motore dell’auto ad un ignaro cliente. I due Arlotta, il cugino e Mazzola sono poi accusati di detenzione di sostanze stupefacenti per 3 chilogrammi di cocaina ricevuti in conto vendita attraverso l’intermediazione di Cosimo Mazzola.