Scuole e sparatorie: dentro al fenomeno Usa con dati e la soluzione israeliana

Dal 1999 negli Usa oltre 214.000 studenti di 216 scuole hanno vissuto episodi di violenza con armi da fuoco

Omaggio ai bambini uccisi nella scuola in Texas

Omaggio ai bambini uccisi nella scuola in Texas

La storia degli Stati Uniti è funestata da centinaia di incidenti e attacchi con uso di arma da fuoco all’interno di scuole. I casi sono i più diversi: dal bambino che per gioco porta un’arma da casa uccidendo una compagn (il caso di Kayla Rolland nel Michigan), ad attacchi pianificati, come quello più recente avvenuto in Texas.

Il fenomeno è in realtà più diffuso negli Stati Uniti, ma presente anche in altri Paesi al mondo. Secondo alcuni studi effettuati dal governo Americano, i fattori alla base delle sparatorie nelle scuole includono disfunzioni familiari, mancanza di supervisione da parte della famiglia, facilità di accesso alle armi da fuoco e condizioni psichiatrice o psicologiche. Il risultato è che, se consideriamo gli ultimi 23 anni, tra il massacro della Columbine High School del 1999 e la sparatoria del 2018 alla Santa Fe High School in Texas, oltre 214.000 studenti hanno vissuto episodi di violenza con armi da fuoco in 216 scuole, almeno 141 bambini, educatori e altre persone sono state uccise, e altre 284 sono rimaste ferite.

Per ridurre il rischio di incidenti e attentati, nel corso degli anni sono emerse proposte politiche di ogni tipo: dal divieto di vendita di armi (praticamente impossibile, negli Stati Uniti, visto che previsto dalla Costituzione) al richiedere agli insegnanti stessi di essere armati. Sono state persino costruite strutture per scuole “anti-attacco”, come la Southwestern High School in Shelbyville, Indiana, considerata la scuola più sicura degli Stati Uniti, con un investimento di circa mezzo milione di dollari ha sviluppato sistemi di allarme e controllo sofisticati, con porte e finestre a chiusura automatica (e antiproiettile), Pulsanti di emergenza, telecamere di livello militare e candelotti di fumo montati sul tetto dell’edificio, con l’obiettivo di rallentare i movimenti di un potenziale tiratore. Sistemi di questo tipo, però, richiedono investimenti ingenti e non tutti gli Stati possono permetterseli.

Sembra ancora inespolorato l’approccio preventivo, utilizzato, ad esempio, in Israele, che da tempo ha adottato un metodo di analisi comportamentale sui soggetti ritenuti a rischio, con monitoraggio di attività sui social network e altro ancora. Il sistema Israeliano di protezione delle scuole è ritenuto tra i più avanzati al mondo, e i dati mostrano un numero molto esiguo di attentati (circa 6 in tutta la storia di Israele). Tutte le scuole israeliane sono però blindate. Chi passeggia tra le strade di Tel Aviv si accorge presto dell’impossibilità anche solo di scorgere un bambino giocare nei cortili delle scuole o negli asili.

In Italia invece questo tipo di incidenti nelle scuole risultano molto rari, anche se il problema delle armi resta ancora irrisolto: nel nostro Paese sono registrate 1,3 milioni di armi ma non è possibile calcolare il numero delle armi irregolari. I crimini violenti perpetrati con l’uso di armi (spesso irregolari) continuano a verificarsi, ma i dati fanno ben sperare: il tasso di omicidi con armi da fuoco in Italia è sceso gradualmente da 0,5 casi per 100.000 abitanti nel 2005 a 0,3 casi per 100.000 abitanti nel 2014 e i valori assoluti relativi agli omicidi continuano a scendere