Guerra tra Hamas e Israele: ecco perché è riscoppiato il conflitto

Quattro i nodi chiave: il controllo di Gerusalemme, i confini indefiniti, gli insediamenti dei coloni e il ritorno dei rifugiati. Ma gli sfratti hanno fatto il resto

L'artiglieria di Tel Aviv in azione contro obiettivi di Hamas

L'artiglieria di Tel Aviv in azione contro obiettivi di Hamas

Gerusalemme - Perché è scoppiata la nuova guerra tra Hamas e Israele? Aldilà delle ragioni storiche, che sono note, cosa ha innescato il lancio dei missili di Hamas, e la massiccia risposta dell’aviazione di Tel Aviv, 750 raid aerei, che hanno provocato finora 87 morti, di cui 18 minorenni, e 530 feriti, secondo il governo della Striscia: senza contare che in Israele 7 persone sono morte a causa dei razzi, tra cui un bimbo di sei anni e un soldato 21enne. Il conflitto di questi giorni nella Città santa e in tutta la Cisgiordania sembra essere nato nella zona Est di Gerusalemme (quella abitata soprattutto dai palestinesi, mentre le maggiori istituzioni israeliane, tra cui il governo, la Knesset e la Corte suprema, hanno sede a Gerusalemme Ovest sin dalla fondazione di Israele nel 1948).

Il detonatore della guerra

Nella zona Est di recente è scoppiata la protesta per gli sfratti di decine di famiglie palestinesi dalle proprie case nel quartiere di Sheikh Jarrah, che sarebbero stati programmati sempre basandosi sul principio storico di lotta tra i due popoli. La decisione del governo israeliano aveva innescato grandi rivolte nel cuore di Gerusalemme: erano infatti stati cacciati dei palestinesi per fare spazio a coloni israeliani. Ecco dunque il perché delle proteste nell’est, che si è riverberato fino alla Striscia di Gaza, il territorio interno allo Stato di Israele controllato da Hamas, che si autodefinisce un “movimento islamico di resistenza“. Da giovedì scorso, infatti, non si ferma la pioggia di razzi da Gaza su Israele, che a sua volta continua a bombardare l’enclave palestinese, dove ha raso al suolo anche un palazzo di dodici piani e ucciso diversi alti dirigenti di Hamas, mentre all’orizzonte si staglia una possibile operazione di terra, dalle conseguenze non prevedibili.

Le tesi di Hamas

Ma perché Hamas ha lanciato dei missili contro Israele, pur nella certezza che la reazione non sarebbe mancata e sarebbe oltretutto stata durissima? “Il perché dei razzi - ha rivendicato Hamas - è da ricercarsi nell’aggressione alla Città Santa e alle prevaricazioni contro il popolo palestinese”. Una tesi che affonda le radici non solo nella diatriba con i coloni degli ultimi giorni, ma in 72 anni di storia, dal giorno in cui lo Stato di Israele è stato fondato, per dare una terra agli ebrei dopo la seconda guerra mondiale, a discapito però di alcuni territori tradizionalmente abitati dai palestinesi. Se a questa considerazione la valenza simbolica di Gerusalemme, città santa per cristiani, musulmani ed ebrei, e capitale rivendicata sia dagli israeliani che dai palestinesi, i motivi delle tensioni tra i due popoli, nella storia recente, appaiono a dir poco palesi.

La mediazione impossibile

La premessa, condivisa dall’Europa e da chiunque si sia posto nel ruolo di mediatore (ultimo Macron) è che Israele ha diritto alla sopravvivenza e i palestinesi a non pagare tributi in termini di vittime civili. Proprio in quest’ottica appare altrettanto chiaro che l’unica soluzione di un conflitto assurto a questi livelli di criticità appare quella dei due popoli in due Stati. Ma finora si è trattato solo di una formula vuota, che in molti hanno cercato nel tempo di concretizzare, ma senza alcun risultato. Il nodo, insormontabile, sembra proprio quello di Gerusalemme. Città avvertita come propria da tutti i fedeli delle religioni monoteiste, ma per tutti incedibile e soprattutto indivisibile.

Il conflitto arabo-israeliano

La crisi è oltretutto parte del più vasto conflitto arabo-israeliano. Sarebbero almeno quattro principali ostacoli a una sua soluzione: la creazione di confini sicuri e definiti, il controllo, come detto,  di Gerusalemme, gli insediamenti israeliani e il diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi. A ciò si aggiungono le uccisioni politicamente motivate di civili israeliani o palestinesi (compresi bambini e donne da entrambe le fazioni), il terrorismo palestinese, libertà di movimento palestinese, la sicurezza ebraica e altre questioni relative ai diritti umani.

Il naufragio di Camp David

Insomma, la parola chiave è complessità. Il sogno dei palestinesi resta un proprio stato indipendente, con Gerusalemme Est come capitale della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, quella che sarebbe definita “una giusta soluzione” per i rifugiati palestinesi. Israele non intende invece da un lato cedere né una parte di Gerusalemme, dall’altra permettere un vero e proprio stato palestinese al proprio interno. Di qui. la spiegazione di tutti i tentativi andati a vuoto finora per la pace, in testa gli accordi di Camp David nel 2000 tra Clinton, Arafat e Barak, poi naufragati nell’ennesimo sostanziale nulla di fatto.