La Cina, la pandemia e il capolavoro di Conte: così ricorderemo lo scudetto 19 dell'Inter

Un tricolore "anomalo" negli stadi svuotati dal Covid e la metamorfosi dell'allenatore nerazzurro

Antonio Conte e la sua truppa

Antonio Conte e la sua truppa

Milano - Ci sono gli scudetti del Mago e quello della Stella, il tricolore dei Record e quello del Triplete, senza dimenticare quello di “cartone” come definiscono con spregio i tifosi avversari il titolo vinto a tavolino dall’Inter nel 2006 all’esplosione di Calciopoli. Come ogni sconfitta clamorosa, vedi “5 maggio”, ogni successo in campionato ha un marchio di fabbrica che negli anni ne rievocherà il ricordo. Come sarà ricordato dunque lo scudetto appena conquistato dall’Inter a undici anni dall’ultima gioia in campionato? Difficile trovare un nome ma senza dubbio l’impronta che ha lasciato la pandemia sulle nostre vite nell’ultimo anno plasmerà anche la memoria di questo trionfo sportivo: gli stadi vuoti in primis, le feste di piazza vietate, le interviste a distanza di sicurezza, le “bolle” anti-contagio per le squadre e gli immancabili casi di positività al Coronavirus che hanno interessato a più riprese anche l’Inter senza mai fermarla. Certamente, il rimpianto più vivo è proprio quello di San Siro deserto e di una tifoseria, la più fedele e numerosa allo stadio, costretta nervosamente sul divano a soffrire ed esultare. 

Made in China

Ma quello che si cucirà addosso l'Inter è anche lo "scudetto dei cinesi", il primo vinto da una proprietà straniera a capo del Biscione, dopo i cicli morattiani e gli exploit Fraizzoli e Pellegrini, industriali milanesi proprio come i Moratti, innamorati del nerazzurro. In tre anni la famiglia Zhang ha cambiato pelle e veste al club, internazionalizzandole l’immagine, promuovendone il brand in Oriente e affidandosi a un management più autonomo che in passato. E, sul più bello, nel momento di raccogliere i frutti del lavoro fatto, con un certo anticipo rispetto alle previsioni, la stessa proprietà ha iniziato a tirarsi indietro di fronte ai venti contrari della crisi pandemica, delle difficoltà del gruppo Suning e di una nuova politica economica di Pechino molto più orientata al mercato interno chealla conquista di quello occidentale. È la legge del business e della globalizzazione. Ma non riconoscere meriti a Jindong Zhang e al giovane figlio Steven, presidente dell’Inter, sarebbe ingiusto soprattutto a fronte degli investimenti fatti, li chiamano così, per migliorare la rosa, accontentando sempre o quasi l’allenatore, e appesantendo un bilancio che ora chiede correttivi.

Il trionfo di Conte

Arriviamo a lui, ad Antonio Conte. Perché, piaccia o meno, questo è il suo scudetto. Inviso a tanti per i suoi trascorsi juventini , gli strali non sempre opportuni, quanto al timing, contro la dirigenza nerazzurra e i modi spesso sbrigativi o lamentosi, l’allenatore salentino arrivato a Milano due anni fa è l’artefice principale di questa vittoria. Chi frequenta la Pinetina, sa che Conte ha rivoluzionato il modo di lavorare, proiettando lo sguardo di tanti, fermo ai fasti del triplete e alle magre successive, al presente e al futuro. Conte ci ha messo la faccia e l’anima, anche a costo di risultare sgradevole ai tifosi e alla critica. Ha dettato l’agenda e alla fine ha avuto ragione. Se l’obiettivo era vincere in tre anni, come sovente ripete, ha bruciato le tappe. Lo scorso anno ha posto le basi, sfiorando una clamorosa vittoria in Europa League, sfuggita sfortunatamente in finale col Siviglia, e centrando il secondo posto a un punto dalla Juve; quest’anno ha concluso il lavoro, regalando il 19esimo scudetto al popolo nerazzurro.

La svolta del comandante

Un successo costruito su una grande delusione, quella dell’eliminazione della Champions League e l’ultimo posto nel girone eliminatorio. La squadra si sarebbe potuta sfaldare, sotto il peso del fallimento e delle burrascose vicende societarie, leggasi stipendi pagati in ritardo, ma Conte nel momento più delicato anche per lui ha tenuto il timone dritto, indicando a tutti il nuovo obiettivo: lo scudetto. Da comandante resiliente, ha cambiato atteggiamento di fronte ai microfoni, rimandando a stagione finita il saldo dei conti in sospeso, e ha ridefinito la rotta per arrivare al traguardo. In soldoni, al pressing alto e al gioco offensivo dello scorso anno, apprezzabile ma insostenibile per una squadra imperfetta, ha anteposto con pragmatismo una manovra articolata dal basso, con un atteggiamento più prudente, forse a volte noioso, ma alla lunga vincente e anche godibile.

Un esercito fedele

Da Lukaku, a lungo corteggiato e fortemente voluto, a Bastoni, gioiello forgiato con le sue mani, dai redivivi Eriksen, Perisic e Skriniar, agli incontenibili Barella, Lautaro e Hakimi, Conte ha permesso a tutti di crescere e migliorare, senza escludere nessuno dall’assalto allo scudetto 2020-2021. Tutti si sono sentiti chiamati in causa. Non era scontato, a inizio stagione l’Inter partiva come seconda favorita dietro la Juve, che si è smarrita presto, ma a metà percorso un lanciatissimo Milan sembrava poter andare oltre le proprie reali possibilità mentre i nerazzurri annaspavano tra mal di pancia ed equivoci tattici. Poi, toccato il fondo dell’eliminazione di Champions, il cambio di approccio a innescare la svolta, il filotto di vittorie costruite su una difesa granitica e un distacco sempre più incolmabile dalle avversarie tanto riuscire da stappare la bottiglia con un insperato anticipo sulla fine del campionato.

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