Massimo Ranieri e "tutti i miei sogni ancora in volo"

Una se ata trascorsa tra pensieri e ricordi sul palco del teatro Carcano che l’ha visto in scena nel 1992 con “Liolà”

Massimo Ranieri

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Milano, 22 aprile 2022 - ​Metti una sera al Carcano con Massimo. Anzi, Giovanni. Per scivolare tra i pensieri, i ricordi, le note a margine di quella esistenza fermata tra le duecento pagine di “Tutti i sogni ancora in volo”, l’autobiografia data alle stampe ad inizio inverno, Ranieri è tornato l’altra sera sul palco che l’aveva visto in scena nel ’92 con “Liolà”. "È bello sognare" ha ammesso. "Basta essere coscienti che i sogni si possono materializzare. Scrivendo questa autobiografia, io ci ho provato. Quindici anni dopo l’altro volume ‘Mia madre non voleva’ ho sentito il bisogno di riprendere in mano il racconto della mia vita, anche perché frattanto sono successe tante. E poi sono un temerario a cui piace sfidarsi. Confrontarci con noi stessi è bello, perché spesso ci tira fuori qualità che neanche immaginavamo di avere, come mi disse Strehler quando gli chiesi perché aveva chiamato proprio me". 

Tutto cominciò nel 1980 col Brecht de “L’anima buona di Sezuan”. “Fu Peppino Patroni Griffi il primo a dirmi che avrei dovuto lavorare con Giorgio” ha ricordato al Carcano l’uomo delle rose rosse. "Poi, una volta iniziata la mia avventura col Teatro Eliseo, fu Giorgio De Lullo a ripetermi questo nome: Strehler. Così, quando mi chiamò Rosanna Purchia, assistente del Maestro, mi precipitai a Milano e accettai il ruolo dell’aviatore Yang Sun senza nemmeno leggere il copione". Il regista e l’allievo si sarebbero ritrovati un decennio dopo grazie a “L’isola degli schiavi” di Marivaux. "Il debutto mondiale dell’‘Isola’ era al Poliorama di Barcellona e lo spettacolo si apriva con me e Luciano Roman naufragati su una spiaggia; lui diceva ‘Arlecchino, dove siamo?’ ed io, guardandomi attorno, rispondevo ‘Su un’isola, padrone’. Strehler ci fece ripetere quel dialogo dalle cinque del pomeriggio all’una di notte: otto ore su una battuta, non potrò mai dimenticarlo. Ma che lezione di vita. Dopo aver lavorato con Strehler tornare in teatro fu dura, perché avevo toccato il cielo con un dito. Senza nulla togliere agli altri, se sulla mia carta d’identità c’è scritto ‘attore’ lo devo a lui". 

Fra i sogni in volo ce n’è stato pure qualcuno sfuggito per un soffio. "Luchino Visconti avrebbe voluto farmi fare la parte di Caruso in un suo film, ma ci lasciò solo sei mesi dopo quella promessa e, quindi, ho poco da recriminare" ammette Massimo. "Il grande rimpianto, invece, è l’album di ‘neapolitan songs’ che avrei dovuto incidere con la direzione di Leonard Bernstein, incontrato una sera a casa di Franco Zeffirelli, naufragato per la miopia del direttore artistico della mia casa discografica del tempo. Prima o poi farsi una ragione delle cose, ma quell’occasione mancata mi brucia ancora un po’". 

Nel 2024 per Ranieri saranno sessant’anni di palcoscenico. Ed è a quella sera del ’64 in cui è diventato cantante sotto i riflettori dell’Academy di Brooklyn che è tornato il pensiero pure sul palco di Sanremo cantando “Lettera di là dal mare”. "Parlando di emigrazione, quel pezzo mi ha preso subito molto, perché lo sono stato anch’io all’età di 13 anni, quando andai in America per fare da spalla al grande Sergio Bruni. L’impatto con l’Atlantico fu devastante, dal ponte della Cristoforo Colombo sembrava che il blu del cielo toccasse quello dell’acqua scatenando una paura atroce in me che, oltre ad essere un bambino lontano da casa, non sapevo nuotare. Al tempo amavo molto Elvis e se lui era il ‘King of Rock’ io avevo cominciato a farmi chiamare Gianni Rock".

 

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