Wang faccia a faccia con il suo assassino. Lo scambio di battute e i sei colpi al bancone

Il killer al bar con cappuccio in testa e mascherina a coprirgli il volto. Due chiacchiere davanti alla macchina del caffè, poi la sparatoria L’indagine della Mobile su autore e movente

Milano - Ruiming Wang ha avuto il tempo di scambiare due chiacchiere con il suo assassino. Un rapidissimo botta e risposta prima dei sei colpi che lo hanno ucciso alle 7.10 di lunedì, dietro il bancone del bar Milano di piazza Angilberto II. Il trentacinquenne, che tutti al Corvetto chiamavano "Paolo", era davanti alla macchinetta del caffè quando è stato freddato. Dettagli di una dinamica ripresa dalle telecamere interne del locale e che da 48 ore sono sotto la lente d’ingrandimento degli specialisti della Omicidi della Squadra mobile, che stanno scandagliando a ritroso la vita apparentemente senza ombre del cinese (era incensurato) per dare un nome e un volto al suo killer e per individuare il movente del raid letale. Stando a quanto ricostruito finora nell’inchiesta coordinata dal pm di turno Bianca Maria Baj Macario e portata avanti dagli agenti guidati dal dirigente Marco Calì e dal funzionario Domenico Balsamo, tutto è avvenuto nel giro di pochi istanti, attorno alle 7.10.

L’assassino è entrato al bar Milano e si è diretto senza indugi verso il bancone: in quel momento, nel locale c’erano solo Wang e un cliente, che però poco prima era entrato in bagno. L’uomo misterioso indossava un giaccone lungo e scuro, con il cappuccio calato sul capo, una mascherina a coprirgli parzialmente il volto e un paio di guanti. Dai filmati del circuito interno di occhi elettronici, che gli investigatori sono riusciti ad acquisire, si nota che i due parlano tra loro per qualche secondo: le riprese sono senza audio, quindi non si può capire se si tratti di un brevissimo saluto tra persone che si conoscono già o di un botta e risposta tra barista e cliente per chiedere e dare l’ordinazione della colazione. E non si intuisce neppure se Wang riconosca colui che sta per ammazzarlo come una faccia nota, anche perché il camuffamento ne fa distinguere a fatica i lineamenti.

Fatto sta che subito dopo quel dialogo quasi impercettibile il killer estrae la pistola semiautomatica e spara almeno sei colpi 9x21: sarà l’autopsia a chiarire se siano andati tutti a segno o se siano stati cinque quelli che hanno centrato Wang al torace e al collo, lasciandolo a terra vicino al registratore di cassa. Portata a termine la missione, con freddezza ed estrema determinazione, l’uomo torna sui suoi passi, esce dal locale e si allontana lungo via Bessarione, quasi certamente a piedi e da solo. Chi è? Una domanda che inevitabilmente se ne porta dietro un’altra, forse ancor più importante per risolvere il caso: perché ha sparato?

E qui il ventaglio delle ipotesi ne contempla diverse, seppur in posizione più o meno privilegiata. La prima impressione è che a colpire non sia stato un connazionale di "Paolo", il che suggerisce di tenere per il momento sullo sfondo la suggestione di un agguato maturato all’interno della comunità asiatica per qualche dissidio magari di carattere economico. L’altro scenario punta su una lite con qualche frequentatore del locale, che tra 2014, 2017 e 2018 era stato chiuso per risse e presenza di pregiudicati ma che da qualche tempo non dava più problemi: Wang, sempre disponibile con le forze dell’ordine, aveva modificato gli orari di apertura e chiusura proprio per evitare che balordi e pusher si ritrovassero, specie in tarda serata, ai tavolini.

Questo cambio di atteggiamento ha dato così tanto fastidio a qualcuno da spingerlo a vendicarsi? O è stato un recente litigio a generare la violentissima rappresaglia? E poi c’è la terza pista, che conduce a una punizione per un impegno non mantenuto, nella cornice di una questione di cui soltanto il trentacinquenne era a conoscenza e che gli è costata la vita.

 

 

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