Veca, il filosofo oltre gli steccati

Il ricordo della Statale: "Ha scritto fino alla fine, progettava il futuro e sapeva parlare di giustizia anche ai bimbi"

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di Simona Ballatore

Ha scritto fino alla settimana scorsa Salvatore Veca, scomparso ieri all’età di 77 anni. "Perché aveva tanti progetti per il futuro ed è uno di quelli che sanno che la vicenda finisce, ma i progetti rimangono", ricorda il rettore dell’Università degli Studi di Milano e filosofo, Elio Franzini. Lunedì la Iuss di Pavia lo avrebbe celebrato insieme ad altri due professori emeriti. "Ci teneva tantissimo, non tanto per il titolo", racconta Franzini, che lo incontrò per la prima volta in via Festa del Perdono, dove Veca - dieci anni più grande - si laureò nel 1966 e cominciò la carriera accademica. Lo ritrovò poi lavorando fianco a fianco nel comitato scientifico della Casa della Cultura. "Avrei avuto io lunedì l’onore della laudatio – continua il rettore –. Sia pure indirettamente discendiamo dalla stessa famiglia filosofica, dalla “Scuola di Milano“". Veca era allievo di Enzo Paci, correlatore della sua tesi su “La modalità in Kant“ fu Ludovico Geymonat. Poi vennero gli studi su Marx "ma non è mai stato un filosofo alla moda, entrava nei problemi con sguardo critico molto profondo e mai ideologico – continua il rettore –, fu uno dei primi a delineare quelli che erano i caratteri di una società giusta, in modo pragmatico". Fece conoscere John Rawls, andò ancora oltre. Verso l’incompletezza e l’incertezza, come valore positivo. "Ho sempre apprezzato di lui la curiosità, lo spirito anti-dogmatico con cui affrontava tanti aspetti del reale, dalla letteratura al teatro, che amava tanto – racconta Marco Geuna, professore di Filosofia, che era tra i banchi del primo corso tenuto da Veca nella facoltà di Scienze politiche –. Ho sempre apprezzato quel non rimanere intrappolato in una singola prospettiva, ma continuare a ricercare e a interrogarsi. È riduttivo definirlo filosofo della politica, è stato filosofo a tutto tondo. Nel 2020 fece una introduzione al Cantico dei Cantici. Lui, che si batteva per una maggiore eguaglianza e una maggiore giustizia, si interrogava ancora sull’amore".

"Ha mostrato come sia possibile coniugare il lavoro filosofico alla presenza culturale sul territorio in modo completamente nuovo, a Milano e non solo", continua Franzini. Era legatissimo alla sua città, in prima linea dalla Fondazione Feltrinelli alla Casa della Cultura. "Mi ha sempre colpito la sua cortesia innata, la sua capacità di ascolto", racconta il rettore. Due anni fa, prima della pandemia, Veca tornò in ateneo per tenere la prima lezione dell’anno accademico agli studenti. Aveva scelto come tema “Pensare il presente in philosophia“ e dedicato le sue riflessioni a Marco Mondadori. Confessando l’emozione di tornare tra le aule dove tutto ebbe inizio, aveva lasciato i ragazzi con l’invito a esplorare l’ermeneutica di Blade Runner, dando l’appuntamento a un nuovo incontro. Ha parlato a generazioni di accademici, ha saputo parlare anche ai bambini: ne Il giardino delle idee dialoga di giustizia, bellezza e Dio con loro e con la nipotina Camilla. "E può riuscirci solo chi ama la filosofia".

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