Secessionisti, la sentenza: "Il Tanko non basta per sovvertire lo Stato"

Non luogo a procedere per gli indipendentisti lombardo-veneti. Le motivazioni della sentenza: proclami e violenza, ma senza mezzi concreti

Il Tanko

Il Tanko

Milano - Gli indipendentisti più coinvolti hanno accettato "la violenza come mezzo di azione ed attuazione del programma". Ma questo è avvenuto "in termini del tutto astratti, velleitari e con risorse inefficaci e inidonee a tale scopo". Mezzi come il famoso Tanko, la vecchia ruspa agricola blindata e dotata di un cannoncino, "erano certamente idonei a creare danneggiamenti a cose e lesioni a persone, ma senza che il loro utilizzo potesse seriamente creare problemi non solo a una forza militare ma anche a una qualsiasi forza di polizia".

Concetti messi nero su bianco dai giudici della Corte d’Appello di Venezia, nelle motivazioni della sentenza depositate ora con cui lo scorso 8 gennaio hanno confermato il non luogo a procedere stabilito in primo grado per 45 persone (il bresciano Giancarlo Orini, leghista della prima ora, nel frattempo è deceduto) accusate di associazione sovversiva per aver fatto parte del gruppo indipendentista lombardo veneto L’Alleanza.

L’ultimo capitolo di un procedimento infinito, rimbalzato fra Brescia, Rovigo, Roma e Venezia, che ha il suo prologo nel sequestro nell’aprile 2014 a Casale di Scodosia, nel Padovano, della ruspa ribattezzata Tanko, riprendendo il termine coniato per il veicolo usato nell’”invasione” di piazza San Marco nel maggio 1997. Un mezzo che il gruppo avrebbe dovuto utilizzare per un analogo atto dimostrativo, come è emerso dalle conversazioni intercettate prima del blitz. Per la costruzione e la detenzione del Tanko sono arrivate sette condanne e otto assoluzioni. Il procedimento parallelo con al centro l’accusa di associazione sovversiva - fra gli imputati anche l’imprenditore 72enne Roberto Bernardelli, proprietario dell’Hotel dei Cavalieri di Milano ed ex assessore ai Servizi sociali di Milano con il sindaco Pillitteri, e il giornalista Gianluca Marchi, ex direttore della “Padania“ - si è chiuso invece con un non luogo a procedere.

I promotori del movimento, scrivono i giudici nelle motivazioni, "nonostante tutte le loro iniziative, le riunioni, i proclami e le discussioni non avevano nessuna possibilità concreta di perseguire il seppur forte ideale indipendentista". I giudici evidenziano la "sproporzione" fra "l’entità dei mezzi rudimentali in dotazione e il dir poco ambizioso obiettivo da conseguire", cioè "la disgregazione dell’Unità d’Italia" ottenendo l’indipendenza della regioni del Nord. "Non si può certo presumere che quell’occupazione simbolica di piazza San Marco a venezia, evocata come il gesto eclatante, sarebbe stata in grado di far sollevare la popolazione".  

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