Lavori fermi, ricorsi infiniti. E il Seveso esonda

Il piano vasche si è arenato: aziende mandate via dal cantiere di Senago, Governo in stand-by da un anno sul bacino al Parco Nord

Cittadini e volontari alle prese con i danni dopo l’esondazione notturna del Seveso in zona Niguarda (Newpress)

Cittadini e volontari alle prese con i danni dopo l’esondazione notturna del Seveso in zona Niguarda (Newpress)

Milano, 6 luglio 2018 - Tre ore di esondazione. Niguarda a mollo per l’ennesima volta. Strade e cantine invase da acqua e fango. Ancora il Seveso. Sempre il Seveso. Il torrente maledetto non smette di flagellare la periferia nord della città: basta un acquazzone di inizio luglio, per quanto intenso e preannunciato via allarme meteo, per farlo tracimare, nonostante la provvidenziale opera del canale scolmatore di Palazzolo. Succede da decenni, e da almeno tre se ne parla come di un problema a soluzione pressoché immediata. Eppure siamo qui a raccontarvi di residenti imbufaliti e di istituzioni locali che provano a fare squadra per superare ostacoli burocratici e ricorsi infiniti. 

«Non è possibile che una città e migliaia di persone debbano entrare in allerta per ogni temporale – sottolinea l’assessore comunale alla Mobilità Marco Granelli –. Spero che insieme Comuni, Regione e Governo procedano con decisione». Gli fa eco l’assessore regionale al Territorio Pietro Foroni: «Nei giorni scorsi, ho provveduto a scrivere al nuovo Consiglio dei ministri affinché la situazione venga risolta al più presto possibile e tutto il tratto del Seveso possa finalmente essere messo in sicurezza». In realtà, un piano c’è, e fu presentato in pompa magna il 20 ottobre 2014 nella sede della Corte dei Conti da Erasmo D’Angelis, l’allora capo dell’Unità di missione contro il dissesto idrogeologico (ieri il Pd ne ha lamentato l’azzeramento da parte dell’esecutivo giallo-verde): rendering accattivanti, fondi certi e tempistiche altrettanto incalzanti. Quattro vasche di laminazione a nord del capoluogo per imbrigliare il fiume una volta per tutte e contenere le piene a monte: Senago, Lentate, Paderno e Parco Nord.

Ecco il cronoprogramma annunciato poco meno di quattro anni fa: fine lavori a giugno 2016 per Senago, dicembre 2016 per le altre tre località. E invece, al momento, nessuno dei cantieri è andato a buon fine; anzi, tre su quattro non sono mai partiti. Quello di Senago, l’unico avviato, si è fermato dopo qualche mese: superate le difficoltà provocate da bonifica di ordigni bellici e ritrovamenti archeologici, si è scoperto che la terra rimossa per far spazio ai bacini di contenimento non era idonea (come si pensava alla vigilia) per essere rivenduta a una cava. E allora è iniziato il braccio di ferro tra le imprese costruttrici e l’Aipo, l’agenzia interregionale per il Po che sovrintende i cantieri. Alla fine, l’Aipo ha deciso di non infilarsi in una battaglia legale dall’esito incerto e dai tempi biblici e ha scelto di risolvere il contratto pagando alle ditte soltanto le opere effettivamente eseguite. 

Ora l'obiettivo è rifare la gara per trovare una nuova azienda entro fine anno. Passiamo alle altre vasche. Gli iter procedurali di Lentate e Paderno stanno andando avanti: nel primo caso, è stata superata la fase della progettazione esecutiva (nonostante, precisa qualcuno, le novità introdotte in corsa dal nuovo Codice degli appalti); dopo l’estate, verrà lanciata la gara. Per Paderno, siamo al termine della Valutazione d’impatto ambientale (Via); una volta superato questo step, si passerà alla progettazione esecutiva. La situazione più critica riguarda il Parco Nord. Per quell’invaso, pende da ormai un anno un ricorso alla Presidenza del Consiglio dei Ministri presentato dalla precedente amministrazione comunale di Bresso. Dal Governo nessuna risposta, sebbene da Palazzo Lombardia sia arrivata più di una sollecitazione. Tutto bloccato. E il Seveso continua a far danni.  

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro