"Puntava l’arma e rideva". Milano, presa la ragazza con la pistola

La 18enne in fuga dopo la rapina in una farmacia

Micol Chessa durante la rapina pistola in pugno (Newpress)

Micol Chessa durante la rapina pistola in pugno (Newpress)

Milano, 14 novembre 2018 - Indice e medio puntati verso la fotocamera dello smartphone, a mo’ di pistola. E il pollice piegato come a voler premere il grilletto, in posa per un autoscatto postato sui social qualche tempo fa. L’altra sera Micol Chessa, baby rapinatrice arrestata dalla polizia poche ore dopo un colpo in farmacia, l’ha pigiato per davvero quel grilletto, pur se accidentalmente: il proiettile ha colpito di striscio la mano del giovane complice, per fortuna senza gravi conseguenze; poco dopo, la ragazza è stata bloccata dagli agenti.

Forse in quel momento la diciottenne cresciuta tra i casermoni popolari del Gratosoglio, estrema periferia sud di Milano, si è resa conto di quello che aveva scatenato: una vera e propria caccia all’uomo tra metropoli e hinterland, con decine di agenti e carabinieri a setacciare l’area per scovare i criminali in fuga. Tuttavia, stando a quanto riferito dagli investigatori del commissariato Scalo Romana, Micol non ha perso la calma neppure in quel momento: non ha proferito parola sui complici, anzi ha provato a depistare le indagini facendo riferimento a un fantomatico albanese residente in zona Baggio che conosceva poco e che l’avrebbe aiutata a derubare l’esercizio commerciale a poche centinaia di metri da casa sua. Tutto falso: non c’era nessun albanese quella sera in via Boifava, la diciottenne con un piccolo cuore infranto disegnato sotto l’occhio sinistro era insieme a un 19enne nato in Italia da genitori marocchini e a un 21enne italo-serbo, tutti residenti in zona come lei. Una zona difficile come lo sono le periferie di una città dai mille volti come Milano, che spesso paiono distanti anni luce dal centro-vetrina di una metropoli rilanciata dall’Expo e ora in pole per ospitare le Olimpiadi invernali. 

Da incensurata, con il sogno di diventare una tatuatrice professionista a leader di una baby gang che non si è fatta scrupoli di fare irruzione in una farmacia all’ora di cena per arraffare l’incasso di giornata. I 41 secondi registrati dalla telecamera interna dell’esercizio commerciale ne immortalano i movimenti: Micol, tuta nera e cappuccio calato sul volto, va avanti e indietro mentre il complice prende i soldi sotto gli occhi terrorizzati della farmacista («muoveva la pistola, urlava e rideva» racconta); a un tratto, la diciottenne scarrella la Beretta inserendo il colpo in canna, un’operazione fine a se stessa in realtà più che un tentativo di incutere timore, e poi prende una confezione di crema solare dagli scaffali come se fosse una cliente.

Un gesto di normalità che lascia interdetti se inserito in quel contesto. Poi la ragazza sale sul motorino, messo di traverso dal conducente per evitare la chiusura della porta scorrevole, e sparisce nel nulla. La fuga dura poco, una ventina di minuti appena. Quello sparo nella notte, dopo la caduta rovinosa in motorino, sembra in un primo momento indirizzato verso gli agenti all’inseguimento. In realtà, è solo il marchiano errore di una diciottenne per la prima volta alle prese con un’arma da fuoco. Il finale è quasi tragicomico, se non fosse che ci sono di mezzo ragazzi appena diventati maggiorenni. Micol dovrà rispondere di rapina a mano armata, possesso della semiautomatica risultata rubata un anno fa e ricettazione del motorino.

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