Quei viaggi in treno In grigio verde

Claudio

Negri

Mi ero fatto diecimila chilometri lungo le patrie rotaie, nel mio remoto anno di naja. Non pochi. Ma nemmeno così tanti, rispetto, che so, ai pendolari della Transiberiana. Erano viaggi di licenza o di permesso. L’arguto lettore dedurrà che ero spesso a casa ed è una deduzione corretta: la Guerra Fredda era un lusso nucleare che ci potevamo permettere anche tra il 1977 e il 1978 (dopo Cristo). In treno andavo e tornavo dal Friuli, viaggiando spesso in seconde classi notturne, mi pare che durante gli spostamenti la divisa fosse d’obbligo: mi vedo riflesso in grigio verde nei vetri sfuggenti e depressi di una toilette. Il convoglio di mezzanotte e mezza, da Milano Centrale, era sempre zeppo di militari in rientro e c’era gente anche nelle urlanti intercapedini a soffietto tra una carrozza e l’altra. Di tanto in tanto nel buio ferroso filtrava la luna, viaggiante pure lei. Io ero più fortunato. A me capitava quasi sempre la toilette. In tre o quattro. Chi seduto in bilico alla tazza, chi al lavandino, chi all’armadietto vuoto della carta di servizio, chi compresso ai vetri poco apribili del cubicolo. Si fingeva di dormire, si fumava a occhi chiusi. Verso l’alba, verso la luce di cenere di Venezia, a qualcuno veniva appetito, c’era sempre un soldato fornitissimo, con la pagnotta oleosa di frittata e cipolla: “Ne vuoi un tochello?”. Poi di corsa a prendere la coincidenza per Udine e le insonni caserme: la guerra finta era quasi bella e quasi non faceva male. Preferivo i viaggi di ritorno, anche se a casa non c’era un amore ad aspettarmi: la mia morosa mi aveva piantato due mesi prima che partissi per la naja. Una notte tornavo dal Friuli – la mia seconda patria, con immutato affetto – in un treno mezzo vuoto. Uno scompartimento tutto per me. Mi addormentai sognando, che fantasia, di viaggiare in treno. Fui svegliato dal controllore: "Una banda di teppisti sta risalendo le carrozze. Lei che è in divisa, mi dia una mano". In divisa, ma disarmato, non ero comunque un gran deterrente. Per fortuna i Tartari scesero vociando alla prima fermata. E tutto risprofondò nella quiete ritmata delle rotaie, inseguiti soltanto dall’aurora.

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