Milano, ucciso per rapina: "Non si può morire così"

Lo zio di Samsul: serve sicurezza, ora stateci vicino

Samsul Haque, 23 anni, ucciso in via Settembrini La famiglia  è sgomenta Nel Paese  di origine  lascia anche  la giovane moglie

Samsul Haque, 23 anni, ucciso in via Settembrini La famiglia è sgomenta Nel Paese di origine lascia anche la giovane moglie

Milano, 29 aprile 2018 - «Non può essere. Tornava a casa dopo il lavoro, mio nipote. E a casa non ci è mai arrivato perché dei rapinatori lo hanno ucciso in strada. Com’è possibile? Non doveva succedere. Non deve succedere questo, a Milano. Voglio lanciare un appello per avere sicurezza: nessuno deve essere in pericolo mentre cammina per strada. Ne parlerò col nostro Consolato. E voglio coinvolgere i milanesi: stateci vicino». Il messaggio forte stride con la pacatezza, col tono cordiale di Raman, 44 anni (da 20 a Milano, dipendente di un’officina), zio di Samsul Haque Swapan, il 23enne bengalese ucciso venerdì notte in via Settembrini da due marocchini irregolari di 28 e 30 anni che nella stessa notte hanno ferito altre tre persone, poi fermati dai carabinieri. 

La vita di Samsul è stata spezzata con una coltellata al torace. «Ci sono pochi controlli e troppa gente pericolosa, soprattutto nella zona della stazione Centrale. Non ce l’ho con nessuno per la sua nazionalità o per la sua religione. Io sono musulmano - evidenzia lo zio - come i due marocchini. Ma credetemi, sono molto addolorato: tutta la famiglia piange Samsul, che era un ragazzo adorabile: non aveva vizi, non beveva, non fumava, era un gran lavoratore e spediva sempre soldi alla famiglia in Bangladesh». Arrivato a Milano circa 5 anni fa da Dacca, aveva subito cercato un lavoro ed era partito col servire ai tavoli di un fast food. Da tre anni si dava da fare come lava piatti e aiuto cuoco al Caffè Dante. «La persona più buona del mondo, sempre disponibile, di animo mite. Non si tirava indietro se gli si chiedeva di lavorare un’ora in più», parole di un collega riportate ieri su queste pagine.  «Tutta la famiglia piange Samsul», rimarca lo zio. In Bangladesh, la moglie e la mamma «non parlano più per lo choc. Sono sotto osservazione medica», continua. Samsul telefonava loro ogni notte, appena finito il lavoro, dopo l’una, calcolando che nel suo Paese fosse già giorno. Sognava di portare a Milano la sua amata. «Ora non c’è più. È una cosa troppo triste, troppo difficile da accettare. Adesso ci stiamo attivando per riportare Samsul in Bangladesh. Tornerà nella sua terra».   

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