
La nipote Valentina Fortichiari, nata lo stesso anno del film, è la principale curatrice dei lavori di Zavattini "Oggi sarebbe contento vedendo i tributi a lui dedicati, però soffrirebbe perché c’è meno umanità".
È nata con Miracolo a Milano, nello stesso anno. Ha avuto Miracolo a Milano “in casa“: Valentina Fortichiari, nipote di Cesare Zavattini e principale curatrice dell’opera zavattiniana e dei suoi diari, pubblicati da La nave di Teseo, ha abitato per anni in via Valvassori Peroni.
Ha un legame a doppio filo con il film e con il suo set? "È vero, sono i capricci del destino. Quando sono andata a vivere nella stessa casa che si vede nel film, davanti al prato erboso dove è stata costruita la baraccopoli, non cercavo il contatto con Miracolo a Milano. Sono finita lì perché mi piaceva, è stata una fortuna. All’ultimo piano abitava Alfredo Castelli, famoso disegnatore e artista, che un bel giorno mise nell’androne tutte le foto delle sequenze del film, dove compariva la nostra casa. Una riscoperta meravigliosa".
Anche Zavattini era legato al quartiere? "All’inizio veniva qui, ospite di una mia nonna paterna, poi ha sempre gravitato nella zona, la conosceva molto bene. Fu lui a indicarla a Vittorio De Sica".
Pure per la nebbia, che quest’anno è tornata. "Nel 1948, in uno dei primi sopralluoghi, era felicissimo di tornare a Milano e respirò così tanta nebbia, a pieni polmoni, che finì a letto con la febbre e la polmonite. La nebbia fa parte di una sua suggestione che il regista De Sica ha reso visibile. È poesia. Ed è tornata sì, anche a Vigevano, dove sono scappata io, circondata dalla nebbia, dalle risaie e dall’acqua".
Lei è nipote di Zavattini, ha lavorato al suo fianco e lo ha fatto riscoprire. Un ricordo e un aneddoto che ha nel cuore? "Sono andata la prima volta a casa di mio zio, a Luzzara, a 9 anni: ricordo che andavo a nuotare nel Po e il suo sguardo terrorizzato. E poi, da grande, le cotolette alla milanese che ci cucinava mentre lavoravamo a Diario cinematografico, annegate in quintalate di burro e accompagnate da Lambrusco gelido. Gli piaceva affondare le mani nella cucina, come nei colori, quando dipingeva. Apprezzava le qualità della vita: era istintivo, spontaneo, passionale".
Qual era il rapporto di Zavattini con la città? E qual è il suo? "Milano era per lui la capitale morale e della sua vita. Anche se è Luzzara il posto che ispirava la fantasia del piccolo Za. Anch’io sono nata a Milano ma mi sento più emiliana: ho Luzzara e il Po nel cuore da sempre. Za non perdeva occasione, anche di notte, per una fuga nel suo paese e quando tornava aveva il letto pieno di briciole del famoso pane luzzarese. Non si capisce la sua poetica se non lo si ambienta vicino al suo Po: è qui che il suo occhio è diventato pedinatore di realtà".
E con quell’occhio, come vedrebbe Milano oggi? "Me lo sto chiedendo da un po’. Da un lato sarebbe contento dei tributi recenti alla sua memoria, del giardino che porta il suo nome, del nuovo libro su Miracolo a Milano - Parole, immagini e immaginari (pubblicato da Oligo). Dall’altro noterebbe la mancanza dell’elemento che ha più privilegiato nel corso della sua vita: lo spazio umano, l’amore per gli altri, alla base delle sue battaglie. Vedrebbe che qualcosa ha oscurato la vita dei milanesi".
Sta diventando esclusiva? È tornato centrale il tema della casa, come nel film. "Sì, basti pensare ai giovani che avevano messo le tende in piazza Leonardo. Ma Milano è anche così diversa rispetto a quella dove Totò girava per augurare buongiorno a tutti. Per questo l’ho lasciata anch’io".
Come i protagonisti del film, in volo sulle scope. Per dove? "Per un luogo alternativo. Non è che non ci siano problemi qui, ma la dimensione è più umana".
C’è però un raggio di sole, come nel film, che ancora scalda Milano e al quale può aggrapparsi per ripartire? "Milano ha molti meriti, come l’attenzione alla cultura che non è mai mancata, e tanti tesori. Ha dei miracoli, ma c’è troppa gente arrabbiata. Dovrebbe riscoprire il lato più umano, appunto".
Lo sguardo di Zavattini potrebbe aiutare? "Sì, soprattutto in questo momento drammatico, con le guerre in corso. Za nel 1955 ricevette il premio mondiale della pace a Helsinki e, ultraottentenne, andava nelle scuole, dai ragazzini delle medie e del liceo a portare l’ora della pace, a leggere i giornali. Sarebbe un punto di riferimento importante per i giovani: deve ritornare nelle scuole con Miracolo a Milano e La Veritàaaa, l’ultima opera, quella in cui per la prima volta ha messo il suo occhio nell’obiettivo. Zavattini non ha mai perso il suo pensiero bambino e i giovani d’oggi lo capiscono".