Alessandro Haber: "Io e Bukowski, gemelli diversi"

Il grande attore interpreterà sul palco lo scrittore in “Musica per organi caldi”.

Alessandro Haber

Alessandro Haber

Certi amori non finiscono. E non hanno bisogno di fare giri immensi. Se ne stanno lì: solidi, inamovibili. Come la passione di Alessandro Haber per Bukowski. Colpo di fulmine letterario. Teatrale. Ma anche la vicinanza esistenziale di chi osserva il mondo con sguardo non addomesticato. Irriverente. Non a caso la Feltrinelli ha pensato all’attore bolognese per "Musica per organi caldi. 100 anni di Charles Bukowski", oggi alle 18,30 al Babitonga, viale Pasubio 11.

Con Haber a leggere pagine di "Shakespeare non l’ha mai fatto", appena uscito nella sua edizione originale (splendide le foto di Monfort). Diario di viaggio del grand tour europeo del 1978, insieme alla compagna Linda. Colonna sonora di Bocephus King.

Haber, come si sente?

"L’età avanza, ho un ginocchio ballerino e la sciatica. Sto cercando di mettermi a posto. E non faccio più le 4 di notte. Vado a letto presto e la mattina mi alleno".

Che ha fatto in questi mesi?

"Ho guardato alcune serie tv e ho letto molto, riflettendo su piccole cose che si erano nascoste nei meandri del tempo. Ho deciso di accettare la proposta di scrivere un’autobiografia, tanto prima della Befana non potremo riprendere “Morte di un commesso viaggiatore” con la regia di Leo Muscato. Ma sono fortunato. Tanti colleghi non sanno come arrivare a fine mese, io ho qualcosa da parte. Anche se rimane il bisogno di esprimermi. Perché per me la vita è più reale sul palco. E quindi mi sono domandato quanti spettacoli avrò ancora tempo di fare. Un pizzico di depressione".

Che progetti l’attendono?

"A parte le serate in giro, sarò nei film di Pupi Avati e Michele Placido. Nel frattempo sto scrivendo una sceneggiatura su Bukowski".

Eccolo. Stasera ha di nuovo a che fare con lui.

"Già. E pensare che tutto è nato un po’ per caso vent’anni fa. Durante una lettura caddi come in trance trasformando le sue parole in colori, musica, odori. Il pubblico era in delirio. Io mi innamorai di Bukowski. E da lì decidemmo di portarlo a teatro".

Cosa vi accomuna?

"La passione. È un uomo che ha pubblicato il suo primo libro a cinquant’anni, non ha mai accettato compromessi, facendo prima qualsiasi mestiere. Credo che abbiamo lo stesso atteggiamento verso il mondo, quell’essere contro l’establishment, le ipocrisie, i benpensanti e i perfettini, le cattiverie. E poi, come lui, ho avuto a che fare con alcol e droghe. Quando capisci che non ne vale la pena, a tua unica droga rimane la passione".

Cosa ama della sua scrittura?

"L’essere così diretta, brutale, tenera, dolorosa. Come Carmelo Bene, lo ami o lo odi. È fuori dal coro. Anch’io non frequento clan, ho amici. L’amicizia è più importante dell’amore. L’amore se ne va, si tradisce ed è giusto così, non apparteniamo a nessuno se non a noi stessi".

Una poesia fra le tante?

"Lo stile è una risposta a tutto. Un nuovo modo di affrontare un giorno noioso o pericoloso. Fare una cosa noiosa con stile è meglio che fare una cosa pericolosa senza stile. Fare una cosa pericolosa con stile è ciò che io chiamo arte. La corrida può essere arte. Boxare. Amare può essere arte. Aprire una scatola di sardine può essere arte. Non molti hanno stile. Non molti possono mantenere lo stile...".

Cosa proverà sul palco?

"Nel lockdown il pittore poteva dipingere e lo scrittore scrivere. Ma un attore poteva solo starsene davanti allo specchio. E io ho bisogno del pubblico. Cercare insieme risposte, senza sfacciataggine. Mi fa sentire vivo". Diego Vincenti

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