SIMONA BALLATORE
Cronaca

Il dizionario per stanare i pregiudizi: "La violenza si combatte a scuola"

Dalla “A“ di amore alla “C“ di "se l’è cercata": sotto la lente il linguaggio che sposta la colpa sulle vittime. L’opuscolo della Statale distribuito alle medie e alle superiori. E la seconda edizione sarà creata dai ragazzi.

Un dizionario per stanare gli stereotipi, dalla “A“ di amore — romantico, travolgente, possessivo — alla “Z“ di zoccola, passando attraverso la “C“ di cercarsela o dalla “E“ di esagerata: sarà diffuso nelle scuole medie e superiori ed è stato realizzato all’interno dell’Human Hall guidato da Marilisa D’Amico, prorettrice alla Terza Missione e alle Pari opportunità dell’Università Statale di Milano. Il progetto è nato sotto l’ala dell’ecosistema Musa, promosso dal Pnrr. Si chiama “Dizionario breve sugli stereotipi associati alla violenza di genere e alla vittimizzazione secondaria” ed "è stato costruito proprio per scardinarli e per fare riflettere le giovani generazioni", sottolinea Irene Pellizzone, che lo ha realizzato insieme a Francesca Poggi, docente di Filosofia del Diritto, e Anna De Giuli, dottoranda. "Ci rivolgiamo al mondo della scuola, soprattutto alle medie — spiega Pellizzone, docente di Diritto Costituzionale — per stanare con loro stereotipi di genere che creano quel contesto all’interno del quale la violenza sembra qualcosa di “normale“ e la reazione alla violenza come un’esagerazione". Non lo è, va scritto nero su bianco e capito. Le professoresse della Statale di Milano sono partite proprio da un’esigenza emersa nei laboratori delle scuole e dalla consapevolezza che il linguaggio possa creare barriere e ostacolare il contrasto stesso della violenza di genere: "Quella “E“ di esagerata per esempio è una delle parole cardine — spiega ancora Pellizzone –, porta con sé il concetto che chi subisce debba stare zitta. Abbiamo cercato parole-simbolo che nutrono la vittimizzazione secondaria: c’è la “N“ come No, la “G“ di gelosia".

Una rete spontanea di scuole sta lavorando al tema e si sta ampliando sempre più mentre si fa formazione con gli insegnanti e con il Comune si lavorerà a una distribuzione capillare del dizionario, che sarà disponibile anche nel centro anti-violenza della Mangiagalli, nei pronto soccorso pediatrici e ginecologici e nei consultori. Ieri è stato presentato per la prima volta alla Statale, alla presenza della rettrice Marina Brambilla, di Elena Lucchini assessora regionale alla Famiglia, Solidarietà sociale, Disabilità e Pari Opportunità e di Elena Lattuada, delegata del sindaco alle Pari opportunità di genere del Comune. "Lavoreremo a una seconda edizione, che aggiorneremo grazie al contributo delle scuole — sottolinea Pellizzone –: ci sono tante parole che devono essere scoperchiate, come “amore“ appunto o come “maschio“. Oppure quella “B“ di bella o brutta: nella società c’è ancora l’idea che chi viene considerata “brutta“ non può essere vittima di violenza, altro stereotipo del quale i ragazzi sono più consapevoli rispetto agli adulti".

Con le scuole si è fatto un lavoro anche su piccoli frammenti di canzoni trap e sugli insulti, come “cagna“: "I ragazzi amano quelle canzoni — spiega la docente –: noi non vogliamo attaccare l’arte e moralizzare, ma che i ragazzi comprendano che c’è un mondo che assorbe la violenza di genere e la considera “normale“. Le parole vanno contestualizzate, evitando che una volta “cantate“ vengano ripetute come un mantra e applicate alla realtà, nel mondo delle relazioni". Con i ragazzi si affronta il discorso, senza mezzi termini. "Il politicamente corretto a volte ci impedisce di fare riflessioni e ci allontana da loro — conclude la professoressa –: il dizionario 2.0 darà spazio proprio alla riflessione che sarà avviata con loro a partire da questo dizionario".