Milano, uno sconosciuto gli dona il rene: "Salvato dalla sua generosità"

La moglie ringrazia il samaritano: seguirò il suo esempio

Il rene è arrivato al Policlinico a bordo di una Lamborghini della Polstrada

Il rene è arrivato al Policlinico a bordo di una Lamborghini della Polstrada

Milano, 31 maggio 2018 - «È una cosa rara, una cosa bella. C’è tanta generosità nel mondo, anche se alle volte non ci pensiamo. Ringrazio questa persona, io non so chi sia, ma è nei miei pensieri». Maurizio, da un letto del Policlinico di Milano, parla del «samaritano» anonimo che gli ha donato un rene senza sapere chi l’avrebbe ricevuto. Una scelta che, per la sesta volta negli ultimi tre anni in Italia, può far partire una catena di generosità.

Perché ora anche Francesca, la moglie di Maurizio, è pronta a donare uno dei suoi reni a uno sconosciuto. Quello che avrebbe dato al marito, malato di insufficienza renale cronica, se non fosse stato incompatibile. Francesca spiega cosa sia «l’incubo della dialisi», iniziato quando si erano conosciuti da poco. Hanno programmato il viaggio di nozze pensando a trovare un centro dialisi, e poi ogni vacanza, «tutta la nostra vita». Fino all’ultimo giorno del 2005, quando Maurizio ha avuto il primo trapianto, «e lì è iniziata una nuova vita, abbiamo avuto due bambini bellissimi». Nove anni e mezzo dopo, «il rene ha smesso di funzionare ed è tornato l’incubo». Due anni di dialisi, fino alla chiamata del Policlinico. Un rene trapiantato, spiega il professor Mariano Ferraresso, direttore dell’unità operativa Trapianti di rene che con la sua équipe ha impiantato a Maurizio l’organo del samaritano portato dalla Lamborghini della Polstrada, funziona per dieci, vent’anni (dipende dalla patologia, dall’età, dalla dialisi, dal sistema immunitario). Se la prima volta «chi non ha un gruppo sanguigno raro riesce a trovare un organo compatibile con un’attesa media di due anni e mezzo», col secondo trapianto le possibilità si riducono, «perché il sistema immunitario può mantenere una memoria delle cellule rigettate» e bisogna trovare un rene che non ‘somigli’ al primo. Il rene di un vivente resiste più a lungo di quello prelevato da una persona morta, oltre «a offrire la possibilità di ridurre o addirittura evitare la dialisi», ma sono di un vivente meno del 10% dei reni trapiantati in Italia. Nell’unità diretta da Ferraresso ci sono state 24 donazioni da viventi (al compagno, a un figlio, un genitore, un fratello, un amico) l’anno scorso, «quest’anno dovrebbero essere altrettante». Il centro nazionale trapianti, con un lavoro certosino, riesce anche a incrociare coppie di donatori-riceventi incompatibili. In base allo stesso principio, il rene di un samaritano attiva una catena che può generare anche cinque, sette donazioni e oltre. Delle cinque catene partite in Italia dal 2015, tre sono passate e una proprio iniziata dal Policlinico di Milano, sede del Nord Italia Transplant Program la cui équipe di psicologi e psichiatri ha valutato cinque aspiranti samaritani. Le motivazioni «possono arrivare da un vissuto, ma anche semplicemente da un forte altruismo, dal desiderio di fare del bene alla collettività». È il caso di una persona, attualmente in esame, che potrebbe far partire la settima catena. Intanto Francesca spera di poter far proseguire la sesta: «Sarei così contenta di rifare quel che il donatore ha fatto per mio marito. Tante coppie vivono questa situazione, magari si sentono in un vicolo buio. Auguro a tutte la luce che stiamo vivendo noi. Donando quel che si può del proprio corpo si può far uscire qualcuno dal tunnel della dialisi».

 

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