In carcere a Opera si radicalizza: ora è evaso, caccia al detenuto

Dal traffico di droga all’islam di stampo jihadista. È uscito dal bagno dell’ospedale beffando tre agenti di scorta

Ayari Borhane Ben Mohamed evaso dal carcere

Ayari Borhane Ben Mohamed evaso dal carcere

Milano, 19 maggio 2018 - Alcuni giorni fa aveva detto di aver ingerito una lametta, ma la visita al Fatebenefratelli aveva rivelato la bugia; così Mohamed Ben Borhane Ayari se n’era tornato in carcere a Opera. Ora quel precedente recentissimo fa pensare quasi a un sopralluogo in ospedale per il piano concretizzato ieri notte: il tunisino, che ha compiuto 43 anni il 10 maggio, ha probabilmente messo in atto la stessa recita, ma stavolta, dopo aver chiesto di andare in bagno alle tre guardie carcerarie che l’avevano scortato in pronto soccorso, è riuscito a uscire dalla finestra basculante, a superare il muro di cinta dell’istituto clinico in pieno centro a Milano e a sparire nel nulla.

LAa sua foto è stata diramata a tutte le forze di polizia, la caccia è serrata. Sì, perché Borhane non è un detenuto qualunque: negli archivi risulta «sottoposto ad attività di analisi con profilo alto monitorato per rischio radicalismo», in sintesi vuol dire che è molto pericoloso. Seguito sin dal 2014 per la sua inclinazione a predicare la Jihad e a fare proseliti tra i compagni di cella, tanto che si era autoproclamato imam, un particolare del suo volto salta subito all’occhio: la zebiba, il «bernoccolo della preghiera», una sorta di segno calloso sulla fronte causato dal battere ripetuto della fronte sul tappeto. A confrontare le istantanee dei primi fotosegnalamenti con quella diffusa dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), si nota un notevole dimagrimento; di più, il tunisino è cambiato fisicamente, ha i capelli corti e radi rispetto a quelli lunghi e ingellati del 2006. Nella sua cella, pare sia stato ritrovato in passato materiale propagandistico e pure dell’hascisc. A Opera ci era arrivato meno di un anno fa, trasferito dal carcere di San Gimignano. Di istituti di pena ne ha girati parecchi, soprattutto nel Centro Italia. Sempre per lo stesso reato: droga. In totale, fa sapere il suo avvocato Claudia Pezzoni, ha accumulato condanne definitive per circa 30 anni, anche se tra periodi di detenzione cautelare e pre-sofferto il fine pena si è spostato al 2032. «L’ho visto l’ultima volta il 26 marzo a Bologna per un processo finito con un’assoluzione – afferma la legale –. Mi ha richiamato dopo la sentenza per ringraziarmi dell’esito: mi sembrava tranquillo».

Di solito, Bohrane non lo era affatto: risultano a suo carico altri procedimenti pendenti per oltraggio e resistenza alle guardie carcerarie, frutto di intemperanze e atteggiamenti tutt’altro che concilianti. Del resto, a leggere la sentenza della Cassazione con la quale è stato ritenuto colpevole di associazione a delinquere dedita al narcotraffico, non andava d’accordo neppure col fratello-complice Youssef, anzi litigavano piuttosto spesso. Stesso discorso vale per la moglie di Bohrane, residente nelle Marche, che ha interrotto i rapporti con lui, impedendogli pure di vedere la figlia. Una situazione, chiosa Pezzoni, per la quale il 43enne ha molto sofferto nell’ultimo periodo. Poi, però, c’è l’altro aspetto, emerso progressivamente negli anni: il suo percorso di avvicinamento al radicalismo islamico. E qualcuno fa notare la data scelta per tagliare la corda: il giorno dopo l’inizio del Ramadan, il periodo che i fedeli islamici associano al digiuno e alla rinuncia e che a livello globale coincide con un innalzamento delle misure di sicurezza contro eventuali attentati terroristici. Solo una coincidenza o una scelta voluta? Sul caso stanno indagando gli uomini del Nucleo investigativo centrale della polizia penitenziaria, coordinati dal capo del pool antiterrorismo Alberto Nobili e dal pm di turno Ilaria Perinu.

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