Delitto Umberto Mormile: servizi deviati e cosche. In aula trent'anni dopo

Opera, l’11 aprile del 1990 l’educatore del carcere fu giustiziato dalla ’ndrangheta. Oggi dal gup i due pentiti che fornirono le armi e i mezzi agli assassini

Il cadavere di Umberto Mormile

Il cadavere di Umberto Mormile

Opera (Milano), 30 novembre 2022 - Sono stati 32 anni di dolore, angoscia, rabbia. Un tempo che è apparso a volte lunghissimo, altre sembrava trascorrere troppo lentamente, come quando si attende una verità che tarda ad arrivare. Alle 9.30 di oggi, l’avvocato Fabio Repici entrerà in una delle stanze al settimo piano del Palazzo di Giustizia a Milano e prenderà parte all’udienza preliminare del processo contro Salvatore Pace e Vittorio Foschini, accusati di aver collaborato al piano per uccidere l’educatore Umberto Mormile, fornendo mezzi e armi. Sono stati 32 anni di accuse, svolte, spesso di fango e infamia gettati nella memoria di Mormile. Anni in cui le indagini hanno chiarito solo una parte, certamente importante, di quell’atroce delitto. La parte cristallina riguarda i mandanti e gli esecutori materiali dell’omicidio.

Il boss di Buccinasco Antonio Papalia e il compagno in affari Franco Coco Trovato hanno dato l’ordine.  Antonio Schettini e Nino Cuzzola lo hanno eseguito. Tutti condannati in via definitiva nel 2005, a cui si è aggiunta la sentenza per il fratello di Antonio, Domenico, anche lui boss a Buccinasco, anche lui a capo della ‘ndrangheta che ha interrato le sue radici tossiche alle porte di Milano. Specialisti in omicidi, sequestri, droga, estorsioni. Si torna in aula per la terza volta, questa per fare luce sulle responsabilità dei due collaboratori di giustizia Foschini e Pace. Le indagini sono state riaperte, dopo la richiesta di archiviazione da parte della Dda respinta dal gip Natalia Imarisio che ha intravisto nelle carte un ruolo non secondario da parte dei due collaboratori nell’omicidio.

L’11 aprile 1990 l’educatore Umberto Mormile guidava la sua Alfa 33 sulla provinciale di Carpiano. Era partito da Montanaso Lombardo, nel Lodigiano, dove viveva con la compagna e la figlia di 10 anni, per raggiungere il carcere di Opera, dove lavorava come educatore dopo un passato come guardia penitenziaria. Cuzzola tiene il manubrio della Honda 600 che lo affianca. Dietro, Schettini tira fuori la pistola, una calibro 38, e spara sei colpi. L’omicidio crea terrore e inquietudine, soprattutto per le voci infamanti che iniziano a girare sul conto di Umberto, ucciso perché infedele ai boss. Un disegno che raffigurava il 36enne capace di accordarsi con Antonio Papalia per far ottenere un permesso premio al fratello Micu, dietro il pagamento di oltre 20 milioni di lire. Soldi che secondo le prime versioni l’educatore avrebbe intascato senza poi concedere il permesso e, per questo, meritava di morire.

Ma la storia è più complessa di quelle ricostruzioni. La rivendicazione di quell’omicidio arriva qualche mese dopo da una sigla mai vista prima, la "Falange Armata", organizzazione che negli anni Novanta aveva messo la firma sulla strage del Pilastro e della Uno Bianca, attentati e azioni terroristiche. Nella sigla si inserisce la partecipazione inquietante dei servizi segreti deviati, in grado di stringere patti con i mafiosi proprio all’interno delle carceri. Mormile aveva scoperto questi rapporti: i pentiti lo ammettono e ricostruiscono il movente dell’omicidio. Umberto sapeva troppo di quei legami tra servizi segreti e boss: andava ucciso.

 

 

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