Da Calabresi a Fausto e Iaio "Mi inchino davanti a loro"

Il presidente del Senato Ignazio La Russa li ha citati insieme a Sergio Ramelli. Vittime del terrorismo, in un caso gli assassini non sono mai stati identificati

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di Nicola Palma

Luigi Calabresi, Sergio Ramelli, Fausto Tinelli e e Lorenzo "Iaio" Iannucci. Quattro nomi incisi per sempre nella memoria di Milano. Quattro nomi per altrettanti omicidi che hanno segnato la storia della città negli anni di piombo. Quattro nomi legati a un periodo di feroci divisioni e opposti estremismi, che, a distanza di mezzo secolo e nonostante commemorazioni partecipate e tentativi di riconciliazione, continuano spesso a essere considerati come "morti di una parte sola". Nel discorso di insediamento a Palazzo Madama, ieri il neo presidente del Senato Ignazio La Russa, che quella stagione l’ha vissuta in piazza da militante missino, ha provato a unirli, seppur commettendo un errore che in tanti hanno notato. Nel passaggio dedicato alle "vittime del terrorismo" e ai "tanti che hanno perso la vita perché credevano negli ideali" tra "studenti, servitori dello Stato, giornalisti, imprenditori e politici", l’esponente di Fratelli d’Italia ha citato per primo "l’ispettore Luigi Calabresi" (che in realtà era commissario capo di pubblica sicurezza), il numero due dell’Ufficio politico della Questura ucciso in via Cherubini il 17 maggio 1972 da un commando di Lotta Continua. Poi, "per restare nella mia Milano", si è soffermato su Ramelli, "militante di destra che ho anche conosciuto e di cui sono stato avvocato di parte civile". Studente dell’Itis Molinari e fiduciario del Fronte della Gioventù, il diciottenne venne aggredito la sera del 13 marzo 1975, mentre stava rientrando a casa in via Amadeo dopo aver parcheggiato il motorino in via Paladini: in due lo ferirono alla testa con una chiave inglese, lasciandolo a terra in un lago di sangue. Fu trasportato all’Ospedale Maggiore, dove morì il 29 aprile dopo 47 giorni di agonia. Per quell’agguato sono stati condannati in via definitiva otto militanti della sinistra extra-parlamentare legati ad Avanguardia Operaia, a cominciare dagli esecutori materiali Marco Costa (11 anni e 4 mesi) e Giuseppe Ferrari Bravo (10 anni e 10 mesi).

Ancora ignoti, invece, i killer degli altri due diciottenni ricordati da La Russa: "Fausto e Iaio, i cui assassini non sono stati mai stati trovati". Militanti di sinistra e frequentatori del Leoncavallo, furono assassinati a colpi di pistola il 18 marzo 1978 in via Mancinelli: Iannucci morì sul colpo, Tinelli poco dopo l’arrivo in ospedale. Diverse le ipotesi che si sono succedute negli anni su mandanti e killer, ma una verità giudiziaria non è mai stata raggiunta. Le indagini misero nel mirino, in particolare, Massimo Carminati, neofascista affiliato alla banda della Magliana, suo cognato Claudio Bracci e Mario Corsi, militante dei Nuclei armati rivoluzionari (Nar). Si fece strada la pista che il raid letale fosse legato all’inchiesta indipendente che i due ragazzi stavano conducendo nel loro quartiere, il Casoretto, e nelle vicine zone di Lambrate e Città Studi sul traffico di eroina e cocaina (registrando le testimonianze raccolte su nastri poi misteriosamente trafugati), gestito dalla criminalità organizzata e da personaggi legati all’estrema destra. Tuttavia, il 6 dicembre 2000, a ventidue anni dall’inizio dell’inchiesta, il gip Clementina Forleo archiviò il caso: "Pur in presenza dei significativi elementi indiziari a carico della destra eversiva e in particolare degli attuali indagati, appare evidente allo stato la non superabilità in giudizio del limite appunto indiziario di questi elementi, e ciò soprattutto per la natura “de relato” delle pur rilevanti dichiarazioni". "Le loro storie rappresentano un portato che ancora oggi è e deve essere una stella polare – ha chiosato La Russa –. Mi inchino davanti alla loro memoria".

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