C’è un sentiero per il paese della felicità

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Mario

Delpini

Partirono con i loro mezzi potenti: macchine bellissime, capaci di prestazioni straordinarie, attrezzate di ogni accessorio, predisposte per ogni comodità. Partirono con macchine cariche di ogni bene di Dio per ogni evenienza: tanti parlavano del paese felice, ma nessuno sapeva quanto potesse durare il viaggio. Perciò le macchine potenti erano cariche di ogni cosa: per mangiare e per sostare, per l’estate e per l’inverno. Partirono, come si usa tra gli uomini, con la fretta di chi vuole arrivare prima, come per una sfida, come per una gara, per occupare il posto, nel caso i posti fossero limitati, come è prevedibile per un paese felice. Partirono, come si usa, contando sulla propria energia ed esperienza: "Ne ho fatto di viaggi, ne ho visto di cose!". Partirono, come viene spontaneo, guardando gli altri come avversari da battere, come concorrenti che potevano insidiare la vittoria: si studiavano per indovinare i punti di forza e i punti deboli, per indovinare eventuali armi segrete o eccellenze di prestazioni. Partirono a tutta velocità: quanto correvano! Che meraviglia di macchine, che potenza! Però il primo arriva a un certo punto e la strada si interrompe è costretto a fermarsi; poi arriva il secondo e anche lui è costretto a fermarsi, e così uno dopo l’altro. Tutti fermi. Non è servito a nulla essere arrivato per primo. Si forma un enorme ingorgo. O piuttosto un enorme parcheggio. Oltre che delle molte macchine potenti e veloci, il parcheggio è pieno di rabbia: "Mi hanno imbrogliato! Altro che paese felice. Siamo in un inferno!"; pieno di delusione: "Dunque è stato tutto un imbroglio!"; pieno di disperazione: "E adesso? Ho venduto tutto per pagarmi il viaggio. Non ho più niente, neppure un luogo dove andare!"; pieno di rassegnazione: "Beh, se non si può andare avanti vuol dire che resteremo fermi. Mi organizzerò per vivere in questo parcheggio". A un certo punto però si sente un bambino gridare: "Ehi, gente qui c’è un sentiero e c’è un cartello che indica la direzione per il paese felice! Venite, venite!". Vanno a vedere, scuotono il capo: "No, le macchine non ci passano, non si può andare da quella parte". Vanno a vedere, scuotono il capo: "No, il sentiero è pericoloso". Vanno a vedere e scuotono il capo: "Mi hanno già imbrogliato una volta. Il paese felice è un sogno un imbroglio. Io non credo più a niente e a nessuno".

C’è un sentiero. La via che Dio prepara per visitare il suo popolo e che rende accessibile ai figli di Dio il paese felice è un sentiero. Per percorrere il sentiero si impone uno stile: i mezzi potenti non sono adatti per percorrerlo. Sul sentiero è fuori posto l’animo competitivo che vuole correre per arrivare per primo. Gli abiti di lusso sono di impaccio e di cattivo gusto sul sentiero. Il sentiero è la via che Dio prepara per incontrare il suo popolo, i suoi amici, i suoi figli. L’opera di Dio rende possibile a tutti percorrere questa strada. Possono percorrerla anche i ciechi, purché ci sia qualcuno che li guida, posso percorrerla anche gli zoppi, purché ci sia qualcuno che li porti, possono percorrerla anche i poveri, perché sono i primi invitati. Il sentiero è accessibile solo per chi cammina insieme con gli altri. Per un qualche dono imprevedibile, invece di stancarsi sentono crescere lungo la strada il loro vigore e sperimentano il miracolo impagabile della gioia: verranno in Sion con giubilo: felicità perenne splenderà sul loro capo; gioia e felicità li seguiranno e fuggiranno tristezza e pianto.

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