Caso camici, Fontana rinuncia a farsi sentire dai pm Il suo legale: "Ci difenderemo davanti a un giudice"

La Procura, intanto, potrebbe interrogare nei prossimi giorni due degli indagati che ne hanno fatto richiesta

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Il presidente della Lombardia Attilio Fontana ha rinunciato alla richiesta di interrogatorio che aveva avanzato nelle scorse settimane nell’indagine in cui è accusato di frode in pubbliche forniture in relazione alla vicenda dell’affidamento da parte della Regione di una fornitura da circa mezzo milione di euro di 75 mila camici e altri dpi a Dama, la società di suo cognato Andrea Dini. "Il presidente Fontana - ha spiegato l’avvocato Jacopo Pensa - ritenendo evento utopistico che la Procura, dopo l’avviso di chiusura indagine, possa mutare impostazione accusatoria a seguito di un suo interrogatorio ha deciso di riservare le proprie difese alle fasi processuali successive di fronte a giudici terzi".

La Procura, intanto, potrebbe interrogare nei prossimi giorni due degli indagati che ne hanno fatto richiesta (possono comunque sempre rinunciare) e poi dovrebbe inoltrare all’ufficio gip la richiesta di rinvio a giudizio per gli indagati. Nell’inchiesta, chiusa a fine luglio dall’aggiunto Maurizio Romanelli e dai pm Furno (ora al Tar), Scalas e Filippini, è stato contestato il reato di frode in pubbliche forniture non solo a Fontana e a Dini, ma anche a Filippo Bongiovanni, ex dg di Aria spa, a una dirigente della stessa centrale acquisti regionale e a Pier Attilio Superti, vicesegretario generale del Pirellone. L’inchiesta è stata condotta dal Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di Finanza.

Il caso ha al centro la fornitura di dispositivi di protezione individuale, tra cui appunto 75 mila camici, da consegnare in piena pandemia nella primavera 2020 alla Regione. Ne vennero consegnati in realtà da Dama solo 50mila, perché nel frattempo, quando venne a galla il conflitto di interessi, la fornitura fu trasformata in donazione. La conseguenza, secondo la ricostruzione della Procura, fu che l’ordine non venne perfezionato per la mancata consegna di un terzo del materiale, cosa che ha portato i pm a formulare l’accusa di frode in pubbliche forniture.

Vicenda che, secondo l’indagine, avrebbe visto l’intervento del presidente della Lombardia con il tentativo di risarcire, per il mancato introito, il cognato con un bonifico - poi bloccato in quanto segnalato dalla Banca d’Italia come operazione sospetta - di 250 mila euro prelevati da un suo conto in Svizzera. Da qui pure un’inchiesta autonoma per autoriciclaggio e falso in voluntary nei confronti di Fontana.

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