Fine vita, Cappato sospeso tra due Procure per il suicidio assistito di Elena Altamira

Milano non ha ancora spedito gli atti a Venezia: in ballo la competenza territoriale per l’"aiuto al suicidio" ricevuto dalla 69enne veneta

Milano - La decisione sarà presa in tempi brevi. Il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano ha ancora sul tavolo l’autodenuncia di Marco Cappato per l’aiuto che l’esponente radicale ha dato al suicidio di Elena Altamira, la 69enne veneta che ha accompagnato in Svizzera dove la donna, malata oncologica senza speranze, si è tolta la vita. Siciliano sta decidendo in questi giorni se inviare a Venezia gli atti del procedimento oppure trattenerli a Milano, dove Cappato è già stato iscritto nel registro degli indagati.

Marco Cappato (Ansa)
Marco Cappato (Ansa)

Il codice di procedura penale indica come competente il giudice del luogo in cui il reato è stato "consumato". Quando Cappato fu processato per l’aiuto a dj Fabo non ci furono discussioni: era andato a prendere Fabiano Antoniani a casa sua, in città. E quando in seguito l’esponente radicale venne assolto per l’aiuto (una raccolta fondi) dato al suicidio di Davide Trentini, un 53enne malato di Sla, il processo si tenne a Massa, in Toscana, perché da lì l’uomo era partito per la Svizzera insieme all’altra imputata radicale, Mina Welby.

Nel caso di Elena, dunque, la competenza della Procura veneziana sembrerebbe scontata. In realtà, così trapela, in Procura a Milano si sta riflettendo sul fatto che la "consumazione" del reato possa essere avvenuta prima, e cioè quando il viaggio in Svizzera è stato progettato e deciso da Elena insieme al suo accompagnatore nel capoluogo lombardo.

In quel caso, l’indagine resterebbe a Milano. E quali potrebbero essere le conclusioni dell’inchiesta non è affatto sicuro. Per l’aiuto a dj Fabo, il procuratore aggiunto Siciliano chiese l’archiviazione per Cappato, sul presupposto, in parole povere, che l’assistenza data a chi in piena coscienza abbia già stabilito di voler morire, in realtà reato non sia. Potrebbe fare altrettanto anche stavolta. Il gip però non la pensava in quel modo, all’epoca, perciò si arrivò a un processo poi sospeso quando i giudici della corte d’assise decisero di sollevare la questione davanti alla Corte costituzionale. Finì, com’è noto, che la Consulta indicò le quattro situazioni concomitanti che di fatto escludono l’aiuto al suicidio come reato: malattia irreversibile, sofferenze insopportabili, scelta di morire presa da un malato in piena coscienza ma tenuto in vita da "trattamenti di sostegno vitale", macchinari o alimentazione forzata.

Ma proprio quest’ultima condizione nel caso di Elena non sussisteva. Ma sarebbe sufficiente, questo, a far sì che non avendo Cappato rispettato quel “paletto“, il procuratore aggiunto Siciliano possa (se si terrà il fascicolo) chiedere per lui il processo? Chi lo sa. Ad ogni buon conto, nella vicenda del dj Fabo, dopo che il dibattimento aveva accertato senza alcun dubbio (anche grazie alle drammatiche testimonianze della mamma e della fidanzata) che la decisione di Fabiano di togliersi la vita era stata presa da tempo, il pm Siciliano al termine di una requisitoria molto tesa e con accenti di profonda commozione, tornò a chiedere l’assoluzione di Cappato.

Allora - era il 2018 - come già ricordato la giuria popolare chiamò in ballo la Corte costituzionale. La quale, prima di pronunciarsi, fece capire come la pensava (il reato non c’era) ma sospese la decisione per un anno inviitando il Parlamento a intervenire con una legge che avrebbe dovuto regolare la delicata questione del fine vita. Tutto inutile. E anche stavolta, in fondo, potrebbe finire esattamente allo stesso modo.

 

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