BARBARA CALDEROLA
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Omicidio di Cernusco, il movente resta misterioso

Delitto maturato nell’ambiente dell’usura ma manca ancora un anello. A svelare la verità potrebbero essere oggi mandante e killer

Il garage davanti al quale il 63enne Donato Carbone è stato freddato a sangue freddo

Cernusco sul Naviglio (Milano), 21 novembre 2019 - Omicidio Carbone, tutto chiaro tranne il perché. Tasselli importanti del puzzle potrebbero venire dall’interrogatorio di mandante e killer, a San Vittore dall’altro ieri con l’accusa di omicidio premeditato, previsto per oggi. Intanto, proseguono serrate le indagini per ricostruire gli affari fra la vittima, all’apparenza piccolo costruttore che aveva fatto fortuna dopo essere emigrato dal Sud, e chi avrebbe deciso di eliminarlo per uno sgarro, Leonardo La Grassa, boss 72enne, trapanese, 22 dei quali trascorsi in carcere, narcos di Cosa Nostra, uomo di riferimento dei corleonesi a Milano negli anni Ottanta.

È l’uomo che secondo gli inquirenti avrebbe arruolato il sicario Edoardo Sabbatino, il 58enne palermitano che il 16 ottobre alle 18.30 ha freddato l’impresario davanti al box di casa in via don Milani 17 con 11 colpi di pistola. Con loro, a fine mattanza, un terzo uomo, arrestato l’altro ieri al termine di una delle sei perquisizioni ordinate dalla Procura di Milano per fare luce sul delitto dell’imprenditore. Si tratta di Giuseppe Del Bravo, residente a Roncadelle (Brescia), il pregiudicato che dopo l’assassinio ha brindato con gli altri due in un bar di Cologno Monzese a casa del quale sono state trovate due pistole clandestine. Non hanno niente a che fare con l’omicidio del presunto usuraio. Sulla doppia vita di Donato Carbone si concentra lo sforzo investigativo. In un mese i carabinieri della Omicidi di Milano guidati dal colonnello Michele Miulli sono arrivati alla svolta dopo un’indagine in apnea fra telecamere, celle telefoniche e testimoni. Ed è proprio alla donna a cui il killer in fuga intimò con una certa maleducazione di aprirgli il cancello del condominio che si deve il bandolo della matassa. È lei ad avere annotato la targa della Opel Corsa usata per il delitto, rubata un mese prima sempre nel Bresciano. Qui si cercheranno le prove del collegamento fra Sabbatino e Del Bravo.

Quel che conta adesso è fare luce su quegli assegni in bianco ritrovati dai carabinieri nell’appartamento di Carbone. La prova che dopo la grave malattia che l’aveva colpito non si sarebbe affatto mantenuto con i risparmi di una vita, ma con il suo secondo lavoro. Anzi, bisogna capire se l’impresa di costruzioni non fosse solo una facciata. Ed è in questo ambito che sarebbe fiorito il rapporto con La Grassa stretto 40 anni fa. Il vecchio boss che per abitudine e militanza non si fidava di nessuno. Tanto che il 16 ottobre torna sul luogo del delitto per controllare che Sabbatino abbia eseguito l’ordine: eliminare l’ex socio che lo aveva “deluso” al punto da volerne la morte. Tutto registrato dagli occhi elettronici. Come il pedinamento del 63enne poco prima del raid. Persino l’ingresso nei sotterranei verso il garage di vittima e sicario è stato ripreso dalla telecamera di un condomino. All’1.36 in caserma la figlia Angela Carbone parla con la madre Natalizia De Candia e con l’amico di famiglia Francesco Cassano. «Adesso, sai quanti stanno brindando? I debiti svaniscono nel momento in cui il creditore non c’è più». La frase spinge gli investigatori sulla pista giusta.